Prima erano solo episodi singoli. Poi - nel Veneto dell'ora et labora - gli episodi hanno iniziato a riprodursi, sempre più, svelati dalle inchieste delle procure e delle forze dell'ordine. E allora anche quel muro di pudore è dovuto crollare di fronte al dato di fatto che ormai, quando si ragiona di criminalità organizzata di stampo mafioso, in Veneto non si parla più di infiltrazioni ma di presenza stabile.
LA SOMIGLIANZA
L'ha messo nero su bianco qualche settimana fa il rapporto semestrale fatto in Parlamento dalla Direzione investigativa Antimafia, l'ha in qualche modo ribadito e sottolineato ieri il nuovo comandante regionale del Veneto della guardia di finanza, il generale di divisione Riccardo Rapanotti.
L'ANALISI DI DATI
Un lavoro in linea con quello introdotto dal generale Mainolfi e ripercorso ieri, durante la cerimonia del passaggio di consegne. «Grazie all'incrocio di dati e ai sistemi di intelligenza artificiale sviluppati nel periodo della pandemia - ha spiegato il generale uscente - è stato possibile scoprire fallimenti, truffe legate alle criptovalute e operazioni mafiose prima che si inabissassero e si legassero ad affari leciti, fagocitando tutto. È stato aperto un tavolo permanente sul fenomeno ed è stato imposto anche un cambio culturale con il quale affrontare la stagione del Pnrr e di importanti appalti».
TENTACOLI OVUNQUE
La Piovra ha individuato obiettivi precisi, quelli dove i soldi girano con più facilità. Scrive la Dia, parlando al Parlamento, che da tempo Cosa nostra e le famiglie della malavita palermitana «riciclavano capitali attraverso investimenti immobiliari soprattutto a Venezia». Ancora «più di recente sarebbe stato confermato il forte interesse delle consorterie palermitane a infiltrarsi nei canali dell'economia legale attraverso la commissione di rilevanti frodi fiscali» e «tra i principali interessi della criminalità anche al di fuori dall'ambito mafioso vi siano i tentativi di infiltrazione nel tessuto economico-produttivo soprattutto attraverso la commissione di reati economico finanziari di truffe finalizzate all'indebito ottenimento di contributi pubblici». Ma non c'è solo Venezia, dove un anno fa è stato sventato il tentativo di resurrezione della Mala del Brenta, o il maxi-processo a Luciano Donadio e al suo clan, costola dei casalesi e radicato nel Veneto orientale. Le inchieste che si sono susseguite nel tempo documentano una distribuzione variegata delle organizzazioni da Padova a Verona, da Vicenza a Rovigo. Sono presenti anche la criminalità pugliese e campana, quest'ultima attiva «sul territorio soprattutto nel settore degli stupefacenti e nel riciclaggio», nonché «gruppi di matrice etnica in prevalenza albanesi, nigeriani, romeni e bulgari. E poi la ndrangheta nel Veronese, interessata al ciclo dei rifiuti e - come svelato nei giorni scorsi - capace di mettere mano anche sui lavori della Fondazione Arena di Verona.
ECONOMIA PULITA
«Un'economia drogata dalla delinquenza e dall'infiltrazione malavitosa è un'economia che non è più libera e non permette più di poter progredire e investire. La vera sfida del futuro è fare fronte comune contro la criminalità organizzata» ha commentato il presidente del Veneto, Luca Zaia, presente al passaggio di consegne in Finanza.