«Noi stiamo lavorando con responsabilità e conosciamo gli obblighi che abbiamo perché sono contenuti nell'accordo nazionale, inutile minacciare sanzioni o la revoca della convenzione». Maurizio Scassola segretario generale di Venezia della Fimmg, e come lui anche altri rappresentanti sindacali, hanno trascorso il fine settimana subissati di telefonate e mail di colleghi che non hanno gradito che il presidente del Veneto Luca Zaia durante la presentazione dell'ultima ordinanza, rispondendo alle domande dei giornalisti, abbia ricordato che tutti i medici di medicina generale sono obbligati a fare i test rapidi antigenici nei loro ambulatori, salvo incorrere in multe o perdita della convenzione.
«Toni perentori» che Scassola giudica inutili in un momento così delicato. «Noi conosciamo bene i nostri obblighi - ripete - ma abbiamo presenti anche quelli della Regione, quindi finché non riceveremo i dispositivi di sicurezza per ogni paziente da sottoporre a test, non ci muoveremo».
Questo per dire ai pazienti che da questa mattina molti medici di famiglia non saranno pronti ad effettuare i tamponi nei loro ambulatori.
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Pure i pediatri di base non saranno operativi da questa mattina. Ricordiamo che come i medici di medicina generale anche loro dovranno effettuare i tamponi ai loro piccoli pazienti, non a chi presenta già i sintomi riconducibili al Covid, ma ai bambini asintomatici che sono stati a stretto contatto con una persona positiva, come previsto dall'accordo firmato il 28 ottobre tra la categoria e il ministero della Salute. «Finora non siamo ancora stati convocati dalla Regione - spiega Franco Pisetta, segretario regionale della Fimp - preciso che il contesto dell'assistenza pediatrica è diversa rispetto a quella dell'adulto: fare un test profondo ad un bambino non è semplice». Impensabile poi per il rappresentante dei pediatri effettuare i test negli studi o negli ambulatori dei 550 pediatri di base presenti in Veneto, servono spazi alternativi. «Quasi nessuno dei nostri ambulatori ha personale infermieristico perché le Ulss non hanno investito su questo fronte - spiega - inoltre non sono attrezzati per tenere separati i pazienti sani da quelli a rischio contagio. Dobbiamo continuare a fare i bilanci di salute che iniziano fin dai primi giorni di vita del neonato, quindi vedo molto complicato fare i test nei nostri studi, mantenendo al tempo stesso inalterata l'attività ordinaria». Anche perché tra i bambini aumenta il numero di piccoli positivi al virus. «Da marzo, quando tutte le scuole erano state chiuse, a settembre ogni pediatra ha avuto pochi casi di bambini positivi - prosegue Pisetta - ma con la riapertura di scuole e asili i numeri sono aumentati, ogni pediatra ne ha in media 7-8 a settimana. Sono bimbi che presentano qualche sintomo, come febbre, mal di gola, tosse, gli stessi di una normale influenza, ma che sottoposti al tampone risultano aver contratto il virus».