Stop allo sci, rabbia e disperazione tra gli operatori della montagna: «Ci hanno presi in giro»

Martedì 16 Febbraio 2021 di Enrico Padovan
Le piste di Piancavallo

PORDENONE E UDINE - «In fondo noi imprenditori ce lo aspettavamo: e proprio per questo ci sentiamo presi in giro, trattati come bambini a cui i genitori raccontano una bugia per tenerli buoni». Ippazio Ciardo, che gestisce alcuni dei rifugi, degli alberghi e dei noleggi del Piancavallo, è profondamente amareggiato. Dopo che nelle ultime settimane tutto sembrava indicare che dal 15 di febbraio (nel caso del Friuli Venezia Giulia dal 19) gli impianti sciistici sarebbero ripartiti, due giorni fa è arrivata la stoccata definitiva da parte del ministro della Salute Speranza: tutto fermo fino al 5 marzo.
LE DIFFICOLTÀ
«Provo un disappunto totale per il modo inconcepibile in cui veniamo trattati. Una cosa è avere il coraggio di annunciare fin dall’inizio che le località sciistiche dovranno restare chiuse fino a maggio, ma ben altra sensazione spiacevole è continuare ad annunciare date su date per poi annullarle o posticiparle, tenendo accesa non solo la speranza dei turisti e di noi imprenditori, ma sopratutto costringendoci a programmare inutilmente le nostre attività. E la beffa ulteriore è il tempismo con cui vengono comunicati gli aggiornamenti: non con settimane di anticipo, ma pochi giorni se non addirittura poche ore prima». 
LA STAGIONE
La stagione anomala che il Piancavallo - così come le altre stazioni sciistiche dell’arco alpino - ha dovuto affrontare avrà ripercussioni pesanti sul tessuto economico della località. «Da imprenditore, dopo 35 anni di lavoro e sacrifici, mi sento un fallito: mi viene voglia di mollare tutto», sono le parole di Ciardo. «I ristori non arriveranno, e francamente non ci interessa nemmeno più di tanto, perché l’unico ristoro vero, per noi imprenditori, è il lavoro. Non possono farci investire sulla sicurezza e poi dirci che non si apre. Non possono farci rimettere in moto le strutture ed assumere personale, per poi annullare tutto e costringerci a licenziare. Già con il primo lockdown abbiamo dovuto buttare via tantissima merce, rimasta inutilizzata per mesi. E ora la situazione si sta ripetendo: chi aveva acquistato beni, assunto manodopera o speso denaro in vista della riapertura lo ha fatto assolutamente per niente. E come se non bastasse, la temperatura media di -10 gradi ci costringe a spese ingenti per riscaldare inutilmente le strutture». Ma l’imprenditore non vuole sminuire la gravità dell’epidemia. «È assolutamente vero che la situazione è di portata mondiale e non discuto la parte sanitaria: ho una mamma di 90 anni e sono pienamente consapevole della gravità della cosa. Questo, però, non giustifica il modo in cui viene gestita la situazione. Non sappiamo più neppure cosa rispondere ai clienti, che brancolano nel buio e sono costretti a prenotare e disdire a seconda delle notizie che trapelano. Eravamo riusciti anche a riaprire due alberghi grazie alla possibilità di ricevere turisti anche dall’estero, che solitamente sono gli ospiti principali delle nostre strutture. In particolare, eravamo riusciti a organizzare viaggi da Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria, cosa che fino a qualche settimana fa sembrava impensabile, e stavamo predisponendo le adeguate misure di sicurezza: ma niente, questo ennesimo cambio di programma ci ha costretti a rinunciare definitivamente». 
ADDIO TURISTI
Eppure, l’interesse da parte dei turisti è palpabile. «L’altro ieri, a testimonianza della grande voglia della gente di venire a trovarci, abbiamo lavorato tantissimo, ma una singola giornata non risolve i nostri problemi economici.

Da parte della popolazione locale sembrava esserci una bellissima risposta: un turismo di prossimità che poteva tenere in vita le nostre attività, e verso il quale spero siano indirizzati gli investimenti futuri, se una situazione del genere dovesse protrarsi». «C’è poi un altro aspetto che vorrei sottolineare. Si parla molto del rischio legato agli assembramenti, e di misure per limitarli, ma credo che questo andrebbe fatto con più logica. Che senso ha limitare gli orari di lavoro per la ristorazione? Questo non fa sì che gli assembramenti diminuiscano, ma si limita a concentrare l’affluenza delle persone negli orari in cui il locale è aperto», ha concluso Ciardo. «E più vanno avanti le chiusure, più le persone - stufe di stare chiuse in casa - si riverseranno fuori in massa al primo spiraglio disponibile, causando così un circolo vizioso che non fa altro che darla vinta al virus. Addosso alla nostra categoria, in questo momento, c’è una grandissima tensione: non solo siamo costretti a fronteggiare una crisi economica, ma ci vediamo pure addossata la responsabilità del contagio».

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