Il Coronavirus "cancella" le messe. Il vescovo di Pordenone alza la voce: «Pregare è un diritto, non una concessione»

Martedì 28 Aprile 2020 di Pier Paolo Simonato
Il Coronavirus "cancella" le messe. Il vescovo di Pordenone alza la voce: «Pregare è un diritto, non una concessione» (Foto di DoroT Schenk da Pixabay)
PORDENONE - “Quando ho sentito parlare il premier Giuseppe Conte, domenica sera in diretta televisiva, ho pianto. E non mi vergogno ad ammetterlo”. Nessuna apertura ai riti religiosi comunitari, neppure dopo il 4 maggio: il vescovo Giuseppe Pellegrini, come tutta la Cei, ci è rimasto malissimo. “Appoggio in pieno la dura posizione assunta dalla Conferenza episcopale su questo nuovo decreto governativo – aggiunge -. Ci aspettavamo ben altro. La messa è per noi insostituibile. C’è libertà di culto, Chiesa e Stato sono indipendenti tra loro.

Non voglio scomodare le questioni giuridiche, né i dettami costituzionali. E’ doveroso occuparsi della salute e dell’economia, ma non si può continuare a mettere in coda la dimensione spirituale. Chi crede non può accettarlo”. Il presule è un fiume in piena. Le lacrime si sono asciugate, il resto si è sedimentato. “Ogni giorno i sacerdoti di Concordia-Pordenone – puntualizza – continuano a dare da mangiare, non metaforicamente, a chi non ne ha. Nel silenzio, le Caritas garantiscono un servizio straordinario quotidiano per aiutare i poveri. Cosa posso dire ai parroci e ai nostri volontari? Forse che, fra i tanti “bisogni” di questo periodo doloroso, non c’è quello di Cristo che ci invita alla messa per restituirci la speranza?”. La preghiera via streaming è un’altra cosa, lo ha sottolineato per primo il Papa. “Quando compilo i moduli dell’autocertificazione per uscire e andare a celebrare un rito religioso – gli scappa un mezzo sorriso – devo scrivere “motivi di lavoro”, come fa il cantore che mi segue. La fede ci è stata donata nella Chiesa ed è proprio nella comunità riunita in assemblea che trova il suo sostegno l’azione pastorale”.

ESIGENZA
Già a Pasqua il vescovo aveva chiesto di pregare “affinché Cristo faccia sentire ai nostri governanti il flusso e la forza di salvezza e d’amore che scaturiscono dal suo cuore trafitto”. L’appello non è servito, o forse non è bastato. “Capisco perfettamente le limitazioni della libertà, individuale e collettiva, necessarie a difenderci dal virus e a evitarne l’ulteriore diffusione – osserva -. Però nella nostra diocesi abbiamo chiese capaci di ospitare 600 persone. Nel pieno rispetto di prescrizioni e distanze, 50 fedeli possono entrarci in assoluta sicurezza. Chiaro che i piccoli edifici non sarebbero riaperti, ma perché tenerli chiusi tutti indistintamente? Lo Stato stabilisca le leggi, in primis sul fronte sanitario, ma ci permetta di organizzarci per farle rispettare e nel contempo per garantire la vita della comunità cristiana. Siamo invasi dalle parole, tra un decreto e l’altro, senza spazio per il confronto. L’esigenza è quella di tornare a vivere il giorno del Signore – riepiloga -, radunandoci nuovamente negli edifici sacri per celebrare insieme l’Eucarestia. Non chiediamo una concessione: è un diritto dei cristiani”.

OMAGGIO AI MORTI
L’unica apertura per il momento riguarda i funerali, “allargati” a 15 persone. Troppo poco, rispetto alle aspettative della vigilia. Nel frattempo monsignor Pellegrini ha celebrato la messa nella parrocchia cittadina di San Giorgio insieme a don Roberto Laurita. Era dedicata alle vittime della pandemia. “Ci preoccupa il futuro, perché la ripresa non sarà facile e indolore. Ma abbiamo una certezza: Gesù risorto non ci lascia soli – garantisce -. Lui c’è, è presente e spezza il pane con noi”. Infine la dedica: “Ricordiamo tutti coloro che sono morti a causa del Coronavirus. Sono tanti, sacerdoti compresi. Preghiamo in particolare per le oltre 50 vite spezzate nel nostro territorio. Alcuni, come Gaetano Portale, erano impegnati nelle nostre comunità. Preghiamo per loro, per i loro cari, per tutti coloro che in questi mesi non hanno potuto essere accompagnati in chiesa”.
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