A trent'anni dalla tragedia delle Padovanelle, i testimoni: «Noi sotto i tavoli, fuori gli spari»

Lunedì 12 Aprile 2021 di Marina Lucchin
La prima cerimonia di commemorazione delle due vittime alle Padovanelle
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PADOVA - Sono passati 30 anni da quella maledetta sera, quando una cena aziendale coi colleghi alle Padovanelle si è trasformata in tragedia. I banditi armati che fanno irruzione nella sala coi passamontagna calati sul volto, le urla, gli invitati obbligati a rifugiarsi sotto il tavolo e a sfilarsi gioielli e orologi. E poi gli spari e la fuga inciampando su due corpi a terra. Sotto il fuoco di fucili a pompa e mitragliette hanno perso la vita Giovanni Borraccino, 26 anni, e Giordano Coffen, 23, agenti delle Volanti che per primi arrivarono sul luogo della rapina.

Trent’anni. Ma nella mente di chi era quella sera alle Padovanelle, quegli interminabili minuti sono incancellabili. Paura, terrore, angoscia in quanto vittime dei banditi, ma anche tristezza, dolore e gratitudine per quei due giovani poliziotti rimasti uccisi nel tentativo di salvarli. 


LA SERATA

A ricordare quei tremendi momenti è Antonio Frazzarin che quella sera era uno dei partecipanti alla cena aziendale. «Eravamo lì con una trentina di colleghi della Porsche per festeggiare i 5 anni dall’inizio dell’attività. A un certo punto sono arrivati questi con passamontagna calato sul volto e la mitraglietta. Siamo rimasti impietriti. Sono passati attorno al tavolo invitandoci a consegnare loro soldi, portafogli, gioielli e orologi».
Era un periodo nero, le rapine nei ristoranti non erano una novità, tanto che il fratello di Frazzarin era stato a sua volta vittima qualche mese prima: «C’erano queste bande, e lo sapevi che se andavi al ristorante era meglio non portarsi via chissà che cosa. I malviventi rimasero “delusi” da quel che trovarono. Il basista doveva aver capito che ci sarebbe stata una cena di “proprietari” di Porsche. Insomma, di gente ricca. Invece noi eravamo i dipendenti di Porsche. Tutta un’altra cosa. Il primo bandito mi lasciò stare, il secondo che passò mi intimò di dargli il mio orologio. Gli dissi: guarda che il tuo collega mi ha detto di tenermelo, che tanto non vale niente. Così se ne andò». 


LA TRAGEDIA

«Fino a quel momento - continua Frazzarin - per quanto spaventosa potesse essere una rapina, la stavamo superando bene. Quello che ha cambiato tutto sono stati gli spari. Ci siamo rifugiati tutti sotto i tavoli e intanto dall’esterno si sentivano i colpi». 
Assieme a Frazzarin c’era l’altra collega Lucia Fusato, che ricorda bene le parole dei banditi: «Dissero “Siamo stati bruciati! Siamo stati bruciati!” e poi fuggirono. Quando fu ora di tornare a casa, quando tutto era finito, la mia macchina non partiva. Ci accorgemmo solo il giorno dopo che era stata crivellata di colpi. Uccisero per pochi spiccioli, addirittura persero i portafogli scappando. Due vite distrutte per quattro soldi e gioielli».


IL TERRORE

Ai due colleghi si aggiunge anche Marina Maguolo: «Per i primi secondi abbiamo pensato che si trattasse di una messinscena, con degli attori mascherati, ma subito dopo dal tono perentorio dei rapinatori abbiamo compreso che facevano sul serio. Abbiamo obbedito ai loro ordini e un paio di noi che hanno tentato una reazione sono stati minacciati. Quando hanno sparato in aria alcune persone sono state prese dal panico e tutti ci siamo rifugiati sotto i tavoli e abbiamo atteso che tornasse il silenzio dopo la loro fuga. A quel punto i primi di noi che sono usciti correndo dalla sala sono inciampati in due corpi esanimi a terra, non sapevo se si trattasse dei rapinatori o dei carabinieri. Solo il giorno dopo dal telegiornale abbiamo saputo chi erano le vittime». Fusato chiuse: «Non manca un giorno in cui non penso a quei due ragazzi. Quelli successivi sono stati giorni bui e difficili. Ho seguito tutto il processo in tv, ho sempre pensato che quei due giovani sono morti per salvarci, uccisi per due anelli e poco più».  
 

Ultimo aggiornamento: 09:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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