Padova. Mario Bernardi, presidente dei Ruzzantini: «Una storia di 95 anni rischia di sparire»

«Dai fasti degli anni ‘60 in tour in mezza Europa, oggi siamo rimasti in 14, mancano le nuove leve»

Mercoledì 25 Gennaio 2023 di Iris Rocca
Mario Bernardi

PADOVA - «Sta cercando Mario? È a suonare in garage». Risponde così la signora Bernardi al citofono di casa, dove compare, scritto in rosso, “Ruzzantini”. Ed ecco che Mario Bernardi, presidente dei Ruzzantini Pavani dal 2004, smette di suonare il clarinetto per aprire la porta del suo studio tra chitarre, mandolini e fisarmoniche. «Mi esercito almeno un’ora ogni giorno – sorride levando il tabaro e scoprendo la divisa d’ordinanza –.

Sono subito venuto a patti con gli altri condomini, chiedendo loro il permesso. Altrimenti non sarei venuto a vivere qui».

Mario, ma da quanti anni dirige il gruppo folkloristico di Padova?
«Ho iniziato la mia attività di maestro dei Ruzzantini nel 1989, ma sono nel gruppo da quarant’anni. Ho ereditato la direzione da mio padre, Aristide Bernardi, un ex cabarettista che è stato uno dei fondatori ed è mancato nel 1975 a 75 anni. Io ho fatto l’orchestrale a lungo e poi, 34 anni fa, ho diretto i Ruzzantini imbracciando lo “scataron del formenton”. Mio padre, invece, usava la fiasca. Ora ho 81 anni, quattordici in meno del gruppo, nato nel 1928».

Infatti festeggerete i 95 anni d’attività quest’anno...
«Sarà una festa poco allegra, perché potrebbe coincidere con la fine del gruppo. Non c’è il ricambio generazionale, nessuna nuova leva e la pandemia ci ha ulteriormente bloccati. Ora siamo tutti anziani, l’età media è tra i 70 e gli 80 anni: un po’ alla volta i componenti se ne vanno».

Qual è il curriculum del Ruzzantino che state cercando?
«Serve gente all’altezza, che sappia cantare o recitare o suonare gli strumenti tipici. In generale serve qualcuno che ci tenga davvero, altrimenti rischiamo di perdere un patrimonio di tradizioni e canti popolari del nostro territorio a lungo andare».

Quanti siete ora?
«Siamo 14, con due fisarmoniche. Siamo molto limitati, quindi difficilmente riusciamo a reggere gli spettacoli di un’ora e mezza ai quali eravamo abituati».

Numeri diversi dai fasti di un tempo.
«Sì, io mi occupavo dell’intrattenimento musicale. Suonavo il clarinetto e nel gruppo c’erano quattro fisarmoniche, un violino, tre clarini: eravamo una trentina di persone».

Ed eravate sempre in tournée.
«Abbiamo cercato di fare molto. Eravamo costantemente negli alberghi alle Terme, dove al repertorio dialettale aggiungevamo quello nazionalpopolare italiano per intrattenere i turisti. Ma ricordo spettacoli bellissimi anche in Germania, a Bad Füssing, stazione termale gemellata con Abano, e in Croazia, Svizzera, Austria, in tutta Italia e tante volte a Roma. A Castiglione del Lago ci ospitavano dieci giorni al festival del folklore con gruppi peruviani o bulgari».

Com’è nato il gruppo?
«Nel periodo fascista sono nati molti gruppi folkloristici. D’altronde non c’era la televisione ed erano poche anche le radio. Nel 1928 durante un raduno a Venezia si sono formati i Ruzzantini, ma con la guerra si sono bloccate le attività. All’epoca erano composti da artisti giovani: dal ‘45 al ‘57 erano numerosissimi gli spettacoli in piazza e i gemellaggi. Dagli anni ‘60 intrattenevano per un paio di serate alla settimana i turisti a Jesolo e poi sono andati anche in Inghilterra, alla Bbc».

Ora vi si vede poco anche a Padova.
«Già. È difficile fare spettacoli: non ci sono date in programma. A novembre siamo stati in Ghetto con la Vecia Padova, ma è tutto limitato. Le tradizioni padovane si stanno perdendo e le istituzioni non sono d’aiuto. Nel 2018, per il 90° anniversario del gruppo sul liston, ci siamo autofinanziati pur di esibirci. Persino la Siae l’abbiamo pagata noi per i 45 minuti di esibizione sul palchetto di fronte a palazzo Moroni. E ora ci hanno anche levato la sede in via Giotto, così non abbiamo più un punto di ritrovo».

Ha mai pensato potesse finire così?
«Ma no, io sono diventato presidente con gioia quando sono andato in pensione. Visto che il progetto mi coinvolgeva mi sono sentito libero di dare una mano al gruppo. Ci siamo sempre detti che ci si entra, ma non esistono limiti anagrafici di permanenza. No se va mai in pension! Magari ci si adegua agli stop imposti dal fisico e dalla volontà, visto che i soci effettivi sono intorno agli “anta anta”».

E poi lei ha avuto anche numerosi riconoscimenti.
«Ne vado orgoglioso. Nel 2006 sono stato nominato Padovano eccellente [racconta esibendo le vecchie pagine del Gazzettino che lo ritraevano], mentre nel 2016 mi hanno premiato come Padre del folklore a Ravenna. Titoli molto belli, meritati da tutto il gruppo in verità, mica solo da me».

Va bene Mario, abbiamo capito che per lei il gruppo è prezioso in ogni suo componente. Ma se dovesse sbilanciarsi un po’ almeno sulle canzoni dei Ruzzantini, quale sarebbe la sua preferita?
«“Soto el Saeon”! È una canzone allegra: il mio canto di battaglia. Ma a pensarci bene sono molto affezionato anche a “Quando torno a Padova” perché è quella in cui riusciamo a fare cantare tutti, forse la più conosciuta. E “La porta del porteo” e “Porteo benedetto”».

Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 09:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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