La storia di Bruno Pescia: «L'impegno nelle favelas per ricordare mio figlio Andrea»

Giovedì 11 Maggio 2023 di Giorgio Papavero
Bruno Pescia

PADOVA - Da una tragedia enorme che lo ha colpito ha tirato fuori la forza per un gesto d’amore. Dalla perdita di un figlio è riuscito ad aiutare migliaia di bambini nel tempo. Nessuno è pronto quando viene chiamato in causa dal destino e certamente non lo sarà stato neppure Bruno, mentre il 10 febbraio 2006 riceveva la notizia dell’uccisione di suo figlio Andrea. Il mondo gli è crollato addosso, sprofondando in un vuoto enorme, ma quello che fa la differenza certe volte è il modo con cui si riesce a reagire alle avversità che la vita. Così, mentre si aggirava per le favelas brasiliane alla disperata ricerca di notizie riguardanti la morte di Andrea, incrociando gli sguardi dei bambini abbandonati a loro stessi e alla miseria, gli è venuta l’idea per far sì che Andrea non fosse morto invano. Lo ha fatto fondando l’Escola Andrea Pescia, che ha l’obiettivo di accogliere questi bambini, di prendersene cura e di offrire loro un’altra chance nella vita.

Pescia, è più tornato in Brasile?

«Prima della pandemia andavo una volta all’anno a Fortaleza, ma adesso sono più di tre anni che non torno in Brasile».

Sono trascorsi diciassette anni dalla morte di Andrea. Che emozioni le provoca il suo ricordo?

«Angoscia, come se fosse ieri, erano ormai tanti anni che mio figlio Andrea stava a Fortaleza.

Sa, all’inizio eravamo preoccupati, il Brasile è un Paese dove di episodi di criminalità si sente spesso parlare, ma dopo sette anni ci eravamo abbastanza tranquillizzati, come se non gli potesse capitare più nulla. Fino a quando c’è stato il furto. Da quel momento ricordo soltanto un gran fretta e una grande ansia che mi ha fatto precipitare in un baleno in Brasile, è bastato un attimo».

Nonostante tutto è riuscito a elaborare il lutto con un enorme gesto d’amore. Com’è nata l’esperienza della scuola?

«La vicenda è avvenuta durante il periodo del Carnevale, abbiamo preso un volo in fretta e furia e siamo rimasti in Brasile una settimana per tutta una serie di indagini, nessuno che ci aiutava, ci sentivamo molto soli. Proprio in quel momento, mentre giravamo in lungo e in largo abbiamo assisto a delle situazioni incredibili, per capire come sia il Brasile bisogna viverci. Abbiamo girato diverse favelas e vedevamo ovunque tanti bambini in condizioni agghiaccianti, così anche se in quel momento eravamo in credito con il destino, abbiamo deciso di voler fare qualcosa di concreto per questi bambini».

Quanti bambini siete riusciti ad aiutare in questi anni?

«La scuola è nata nel 2009 e avevamo 50 bambini, adesso siamo arrivati ad aiutarne più di 250. Una situazione non facile anche dal punto di vista economico, ma per adesso stiamo riuscendo a sopravvivere nonostante le difficoltà. La cosa più commovente è vedere che persino le madri, capendo questo momento complicato che stiamo vivendo, si autotassano, ognuna mettendo quel poco che riesce. Questo perché la scuola è qualcosa di più, rappresenta una casa che in 14 anni ha permesso di aiutare un migliaio di bambini, offrendo loro un’alternativa diversa rispetto alla criminalità e alla strada».

Nel frattempo c’è stato prima il Covid e poi l’inflazione amplificata dalla guerra. Quanto ne ha risentito il vostro progetto?

«Nonostante siano tre anni che non faccio più ritorno in Brasile, siamo giornalmente in contatto con la scuola. Il costo della vita in Brasile è aumentato molto ed è uno dei problemi che fin da subito abbiamo registrato. Purtroppo, il cambio mangia tanto di quello che mandiamo, per questo stiamo facendo attenzione su quante risorse mandiamo».

Lei più volte si è lamentato di non aver mai ricevuto aiuti per la sua iniziativa da parte del governo brasiliano. Crede che la situazione possa cambiare?

«Non nutro alcuna speranza di cambiamento, perché tanto a loro interessano soltanto le scuole statali e siccome la nostra scuola materna viene gestita da italiani, viene vista in malo modo. L’estetica e la logistica delle nostre strutture le differenzia in modo abissale dalle loro, per questo sono molto invidiosi».

Come vede il futuro della scuola, c’è ancora speranza?

«È difficile prevederlo oggi, il fatto è che noi aiutiamo i bambini, ma questo sforzo non viene riconosciuto, ci crea una certa amarezza».

Quello con il Brasile è un amore e odio...

«Questi ragazzi anche se entrano da noi che hanno solamente dai due ai sei anni, poi vengono seguiti all’interno del loro percorso di vita e abbiamo visto come la maggior parte di loro con i valori che ricevono proseguono all’interno di questa “retta via”. All’interno della favela Garibaldi, che è appunto quella dove è si trova la scuola, non avvengono molti episodi di violenza. In questo vedo come la scuola sia riuscita a dare una mano alla favela».

Ultimo aggiornamento: 14:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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