Ore 17.45 del 21 febbraio 2020: l'inizio della pandemia da Covid. «Il virus e la paura, i nostri due anni a Vo'»

Lunedì 21 Febbraio 2022 di Marina Lucchin
Ore 17.45 del 21 febbraio 2020: l'inizio della pandemia da Covid
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VO' (PADOVA) - Il sole è già calato dietro al monte Venda da un bel po', fa un freddo pungente e in giro per la piccola Vo' non c'è praticamente nessuno. Sono le 17.45 del 21 febbraio di due anni fa. È venerdì, per tutti è l'inizio del tanto atteso fine settimana. Ma la realtà è un'altra: è l'alba di una nuova era, fatta di paura, mascherine, zona rossa, militari, cordone sanitario.

E poi tamponi, sirene delle ambulanze che urlano a tutte le ore, file per fare la spesa, flaconi di gel igienizzante in tutti gli angoli, isolamenti, quarantene, coprifuoco e morte. È solo l'inizio di una convivenza con un virus che arriva dall'Est e che fino a pochi giorni prima il suo nome risuonava solo in lontananza dalla Tv mentre il telegiornale faceva da sfondo alle cene in famiglia: il coronavirus.


Inizio della pandemia Covid a Vo'

Proprio in quei minuti, Adriano Trevisan veniva trasferito d'urgenza da Schiavonia al reparto di terapia intensiva di Padova, dove qualche ora dopo morirà: è la prima vittima del Covid in Italia. Mentre il 77enne si arrendeva al virus, rimanendo in piedi in mezzo alla grande piazza Liberazione, si vedevano solo due luci accese. Da una parte quelle della Locanda del Sole, dove Adriano e il suo amico Renato Turetta andavano sempre a giocare a carte: i giovani del paese stanno brindando con un calice di spriz. Dall'altra quelle del municipio, due finestre illuminate al secondo piano, dove si era riunita in fretta e furia la giunta del sindaco Giuliano Martini appena giunta la notizia: il coronavirus ha infettato almeno due abitanti di Vo'. E chissà quanti altri.
Negli occhi del primo cittadino, che nella vita fa il farmacista e quindi ben comprende la portata di quello che è piombato come una valanga sul suo paese, c'è tutta la tragica consapevolezza di chi sa che nulla da quel giorno sarà come prima.


731 giorni dopo

Esattamente due anni dopo ci ritroviamo nella stessa piazza, all'ombra della casa comunale, sovrastata da quel Vo' scritto a caratteri cubitali che ormai tutta Italia ha imparato a conoscere. Nel frattempo, proprio lì davanti, è sorta anche una nuova e colorata rotatoria, anch'essa con il nome del paesino, scritta in blu, bello in grande, pronta a dare il benvenuto a turisti e nuovi abitanti. Sì, perché, se è vero che il Covid dietro di sé ha lasciato una tragica scia di dolore e morte, ha avuto come effetto collaterale anche quello di far emergere il carattere combattivo e generoso dei suoi abitanti e la creatività dei suoi artigiani e imprenditori. Così, da paese di untori, come in un primo momento sono stati considerati i vadensi, ora Vo' è diventato luogo di origine di prodotti richiesti ovunque, anche all'estero, ma specialmente un'isola felice.


La rinascita di Vo'

A dirlo, orgoglioso, è sempre quel sindaco Martini: dal suo sguardo non traspare più la paura di quella notte, ma la fatica di questi due anni. Quella sì, si vede tutta. Ma nonostante 371 giorni di intenso e ininterrotto lavoro, come sindaco e come farmacista, è soddisfatto per come i suoi concittadini si sono comportati, facendo diventare il paese un modello/laboratorio con la prima operazione di screening di massa. Insomma, ora Vo' è un posto sicuro dove mettere su famiglia, tanto che «risultano più di trenta i nuovi residenti nel 2020, e ne attendiamo di più quest'anno con il completamento di nuove unità residenziali». «Quel 21 febbraio ci è arrivato addosso uno tsunami. E poi, poi è cambiato tutto. Tutt'ora non è ancora finita - ricorda - La nostra gente è stata virtuosa, tanto che ci ha onorato della sua presenza il Presidente Sergio Mattarella». E il futuro? «Problemi ce ne sono parecchi, ma ci sono anche cose positive, ad esempio abbiamo visto un aumento degli abitanti che arrivano da fuori e prendono casa qui. Vo' viene vista come posto tranquillo, dà un immagine di solidità, di saper andare avanti. Tanto che, anche con l'arrivo di Omicron, da noi i casi sono dimezzati rispetto ad altri comuni nei dintorni. Abbiamo imparato a proteggerci evitando il contagio».

I protagonisti

La vita alle pendici dei colli oggi scorre in equilibrio tra ripresa e memoria, tra la forza di andare avanti e il dolore che non dev'essere dimenticato, ma deve diventare spinta per diventare migliori. Lo sa bene Manuela Turetta, la figlia di Renato, l'amico di Adriano, vittima pure lui del Covid: in tre settimane da quel maledetto 21 febbraio sarebbe spirato, solo, in un letto della Terapia intensiva di Padova. «È incedibile che dopo due anni siamo ancora qui a parlare di sto virus - esordisce Manuela - Per fortuna ora abbiamo i vaccini. Io alla fine mi sono contagiata(non era mai successo, nemmeno quando viveva col padre già infettato dal Covid, ndr), ma non ho avuto sintomi forti perchè ero vaccinata. Ultimamente mi sono sentita telefonicamente con Ivo Tiberio, direttore di Terapia intensiva, dove è morto papà. E devo dire grazie ai medici, grazie perché se non fosse stato per loro tanti altri non ce l'avrebbero fatta. Non ne saremmo mai usciti».

 

Anche Serena Zago, tatuatrice con lo studio poco distante dalla piazza, sa bene come il Covid abbia segnato le vite dei suoi concittadini: «Io per prima in Italia mi sono tatuata il virus sulla mia pelle, perché è una cosa che mi ha segnato profondamente. Una decina di persone mi hanno chiesto un tatuaggio a tema con la pandemia, molti altri, invece, uno che ricordi un proprio caro che purtroppo è morto a causa del Covid. Nessuno dimenticherà quella paura e quel dolore». L'inizio della rinascita l'ha già visto Nicola Zandonà, direttore della Cantina dei Colli Euganei: «Nei primi giorni annullavano le commesse perché c'era chi temeva che le bottiglie fossero veicolo del virus, ora invece il nostro vino lo si conosce in tutta Italia e anche all'estero. Abbiamo approfittato di questa inaspettata notorietà per fare una raccolta fondi e devolverli all'Università per la ricerca contro il Covid». Moira Biasio ha dovuto reinventarsi per sopravvivere come imprenditrice. Ha un negozio di sartoria e aveva appena aperto quando è arrivato il virus: «Quando ho capito che sarebbe stata lunga, mi sono convertita da camiceria a produzione di mascherine per riuscire ad andare avanti e anche a dare una mano agli altri. Ora, speravo andasse meglio col calo dei contagi e le riaperture, invece, vista l'ultima bolletta della luce, raddoppiata, torno ad aver paura di non farcela». Francesco Cassineri era uno dei due dipendenti del minimarket Crai che è riuscito a tenere aperto durante la zona rossa: «Andavo a prendere il pane al varco 14, me lo passavano a braccia i militari, come se fossimo in guerra». E infine c'è Giada Vezzù che con i suoi adesivi ha creato il marchio di Vo': «Ci guardavano come gli untori, così ho pensato di attaccare alla macchina questo disegno, con su scritto Sì, sono di Vo', e incredibilmente è diventato un simbolo. I soldi li ho devoluti allo Iov». Ora, a 731 giorni da quel maledetto 21 febbraio 2020, è il momento di fare un bilancio: «Le cose avrebbero potuto essere diverse», è l'amara riflessione del sindaco Martini. Eppure qualcosa si muove. Tutti vogliono vedere la luce alla fine del tunnel. Luce che metaforicamente potrebbe essere la strobosfera del Black Panther che si riaccende: la discoteca, che non aveva più riaperto, da qualche giorno ha le nuove locandine appese vicino all'ingresso. E il titolare annuncia: «Si riparte». E speriamo non ci si fermi più.

Ultimo aggiornamento: 19:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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