Tre quarti di vita nel Soccorso alpino, Fabio Bristot: «La mia battaglia contro gli ostacoli al volo»

Lunedì 25 Aprile 2022
Fabio Bristot, consigliere nazionale del soccorso alpino

BELLUNO  - Tre quarti di vita nel soccorso alpino, la gran parte con ruoli dirigenziali.

Ed ora per il quarto mandato consecutivo è stato confermato nel consiglio nazionale del Cnsas. Fabio Bristot, “Rufus” da sempre mangia pane e soccorso alpino: le sue battaglie da Roma hanno portato la nuova legge quadro per i volontari. Il suo grande cruccio: non aver ancora ottenuto una norma per gli ostacoli al volo, che in Italia hanno causato 55 morti e 33 feriti solo negli ultimi decenni. 


Come è cambiato il Cnsas in questi anni?
«Ho visto cambiare i colori alle divise, alcune tecniche, molte tecnologie, ma per fortuna non ho ancora visto cambiare la cosa più importante: la passione per la montagna e per chi la frequenta, senza la quale non ci sarebbe più da tempo il Csnas. L’auspicio è che questa componente innata ma che può anche essere coltivata appartenga anche dalle nuove generazioni. Implica di certo sacrificio e dedizione, ma come scelta valoriale sa offrire indietro emozioni uniche: il grazie talvolta balbettato di una persona a cui hai dato una mano è impagabile».


Cosa avevano in più le generazioni di vecchi soccorritori? 
«Non voglio sembrare paternalista o volutamente vecchio, ma tanto di capello ai veri padri del Cnsas che con pochissimo materiale e limitate attrezzature sapevano risolvere con efficacia situazioni estremamente complesse. A loro, a nessuno in particolare ma a tutti assieme, vada il nostro quotidiano ringraziamento».


I volontari sono sempre più specializzati, dronisti, cinofili. Quale sarà il futuro?
«Se non sei specializzato attraverso una formazione specifica e senza un costante aggiornamento non puoi pretendere di garantire un servizio di qualità. Questo però comporta partecipazione ed adesione da parte del personale, risorse adeguate e un’organizzazione adeguata a sostenere questo carico di lavoro. Il futuro però deve stare attento a non creare il soccorritore tuttologo, quindi deve sempre saper considerare anche la semplicità, cioè la capacità di effettuare anche azioni lineari senza fronzoli, sicure e veloci nel raggiungere l’obiettivo, che è e deve rimanere sempre salvare persone in difficoltà».


L’ingresso delle donne, sempre più presenti che cambiamenti ha portato?
«Negli anni sono entrate molte ragazze nel Cnsas ed hanno portato sicuramente maggiore dinamicità in alcuni settori. C’è però ancora molto da lavorare per rimuovere alcuni pregiudizi che ancora esistono e che non hanno ancora rimosso del tutto le condizioni per creare la parità di genere. Anche io, non lo nascondo, alle volte risento di questi retaggi forse un poco miopi e demodé».


Obiettivi più qualificanti raggiunti nel medio periodo?
«Di certo l’approvazione della Legge 13 ottobre 2020, 126, una corsa massacrante di tre mesi che ha profondamente rivisitato la vecchia legge quadro del Cnsas risalente al 2001 e che ha dato nuovi spunti di crescita e responsabilità a tutta l’organizzazione. Quindi, l’adeguamento alla Riforma del Terzo Settore di tutta la realtà del Cnsas, assieme alla garanzia di aver offerto a tutti i volontari un pacchetto di polizze assicurative dove massimali e franchigie sono state oggetto di profonde e onerose modifiche di carattere migliorativo. Infine, aver predisposto il controllo sanitario per tutti i volontari, garantito da fondi della direzione nazionale ottenuti da un finanziamento di una recente Legge Finanziaria, ritengo sia un altro risultato qualificante l’azione prodotta – ci tengo a dirlo – in modo collegiale con alcuni miei colleghi».


Cosa manca ancora, quali gli obiettivi da raggiungere?
«I temi legati alla sicurezza sia della componente volontaria che come tale soggiace ai decreti emessi dalla Protezione Civile ad inizio dello scorso decennio, sia di quella che deve ottemperare senza alibi di sorta al Testo unico (D.Lgs. 9 aprile 2008, n, 81), anche recentemente modificato con responsabilità sempre maggiori in capo ai legali rappresentanti dei vari servizi regionali e provinciali del Cnsas e alla Direzione nazionale. Sullo stesso piano, come impegno, la revisione dei piani formativi in parte collegati al tema precedente e la revisione degli associati regolamenti».


Purtroppo la storia è fatta anche di caduti “in battaglia”. Belluno li ricorda sempre, si è fatto abbastanza per evitare queste tragedie?
«In questi anni tutta la nostra organizzazione ha pagato un prezzo estremamente doloroso di cui porto personalmente i segni e lo dico senza finzione o retorica alcuna. Abbiamo però sentito la comunità della montagna stringersi al Cnsas ed essere solidale. Questo calore ha fatto bene e concorso a rasserenare i cuori. Ma dovendo rispondere sino in fondo a quanto mi ha chiesto, ritengo che serva chiedersi ogni santo giorno il perché sia successo, senza dare risposte scontate o di comodo. Cioè serve avere il coraggio di ammettere eventuali errori, processo mentale che serve ad aumentare la propria consapevolezza e rendere più sicure le nostre azioni». 


Negli anni sono aumentati gli impreparati in montagna, chi chiama il soccorso alpino perché è stanco. Cosa deve cambiare?
«Le coscienze attraverso un approccio culturale significativamente diverso da quello superficiale a cui talvolta si assiste ora. La montagna viene sempre più considerata una sorta di giostra, un gioco tra l’altro gratuito dove non si paga neppure il biglietto. Non può essere questo l’approccio, ma si deve uscire dalla banalità e tornare a considerare il senso del proprio ed altrui limite».

Ultimo aggiornamento: 26 Aprile, 11:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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