Cerca su Google "Come incendiare una pizzeria" e poi assolda un giovane per dar fuoco al locale

Domenica 31 Dicembre 2023 di Olivia Bonetti
La pizzeria "Mordi e Fuggi" di Pieve di Cadore dopo l'esplosione del 24 aprile 2017

PIEVE DI CADORE - Si era affidato al motore di ricerca Google per mettere in atto il suo piano Fabio Laritonda, 46enne reo confesso, la mente che c’era dietro l’incendio della pizzeria “Mordi e Fuggi” di Pieve di Cadore. Aveva cercato: “Come incendiare una pizzeria”, “incendiare con la benzina” “benzina verde evapora come l’acqua” “manuale per diventare un piromane” “benzina quanto tempo ci vuole” “quanto tempo impiega la benzina”. Ma era un piano ben lungi dall'essere perfetto quello che ha quasi ucciso un ragazzo ventenne e portato in cella, senza fondamento come emergerà poi dal processo, un innocente: il titolare della pizzeria Alessandro Piccin, indicato da Laritonda come il mandante di quel rogo che avrebbe agito per motivi di assicurazione. 

LE BUGIE
È stato un vero pasticcio quello fatto da Laritonda, che segnerà per sempre diverse vite: le sue ricostruzioni modificate più volte, hanno messo nei guai anche Luigi Zanettin, 43enne (che sarebbe stato l’intermediario tra Piccin e gli esecutori del presunto piano), assolto con formula piena.

Scagionato anche Giuseppe Lauro, 64enne di Domegge: nella ricostruzione il tassista avrebbe portato sul luogo l’esecutore materiale del rogo. Un castello di bugie quelle di Laritonda in cui la prova regina sarebbe stata la chiave della pizzeria “Mordi e fuggi” usata per aprire la porta la sera del rogo. Laritonda l’aveva nascosta nell’intercapedine di una tapparella a casa sua. Peccato che quella serratura della pizzeria non sarebbe mai stata cambiata dopo il passaggio dalla gestione precedente. Non prova nulla quindi, come viene ricostruito nelle 55 pagine delle motivazioni della sentenza che il giudice Angela Feletto a pronunciato in aula lo scorso luglio: Laritonda ha preso 4 anni e 6 mesi per l’incendio e il giovane esecutore di quel piano, Pasquale Ferraro 3 anni e mezzo. Tutti assolti gli altri 3 imputati.

LA VERITÀ?
«Non l’ho fatto per soldi»: lo aveva detto chiaramente Fabio Laritonda, come emerge dalle intercettazioni in cella del 17 giugno 2017 quando Lauro che era con lui lo incalza: «Vogliono sapere perché l’hai fatto». «Non c’è una spiegazione perché l’ho fatto, perché si meritava questo: chi fa male, riceve male», risponde Laritonda. Lì c’era tutta la verità? Il rogo era stato una ripicca contro Piccin? O una lezione a Piccin impartita su commissione di altri? Non si saprà mai perché le indagini dei carabinieri hanno preso un’altra strada. E Laritonda spiegava allora: «Sui mandanti si stanno concentrando, se ci sono mandanti, quando non ci sono e se anche ci fossero non lo direi nemmeno, che sono un infame io?». «Tu fai una cosa del genere così all’improvviso, perché la fai?», gli chiede Lauro. «Per vendetta la faccio», risponde Laritonda. Era metà giugno, a due mesi dal fatto: l’esplosione avvenne la notte del 24 aprile 2017.

IL CASTELLO DI CARTE
È solo a inizio luglio che spunta il nome di Piccin. Laritonda chiede come emerge dalle intercettazioni: «Pure Alessandro Piccin è indagato no?». E afferma: «Se parla lui parlo io. Ho pitturato l’appartamento, io avevo avuto un acconto poi non si è fatto più sentire: l’ho richiamato e lui non mi ha detto niente mi sono vendicato basta. Le assicurazioni in mezzo altrimenti non sarebbe stato nulla ora pensano che sia lui il mandante, sicuro». L’idea di accusarlo si fa sempre più concreta. Laritonda ha pressioni dai familiari, ma anche da Lauro che gli spiega chiaramente: «Noi possiamo uscire una volta che sanno come è andata». È così che il 27 luglio 2017 Laritonda viene interrogato dal pm su sua richiesta e chiama in correità Piccin e Zanettin. Solo dopo 3 mesi vengono arrestati e Piccin si fa anche un mese di custodia cautelare. Ma il processo chiarirà che non c’entravano nulla: un errore. Anche l’ipotesi delle polizze assicurative da incassare con il rogo «il dibattimento ha fatto emergere seri dubbi sulla tesi accusatoria», scrive il giudice che afferma: «Nelle conversazioni intercettate sull’utenza di Piccin non sono emersi elementi a sui carico». Emerge invece, come ricorda Feletto, che Piccin sospettava del precedente proprietario della pizzeria con cui era in corso un contenzioso civile. Ne fece anche il nome agli inquirenti ma si beccò l’accusa di calunnia. 

Ultimo aggiornamento: 1 Gennaio, 10:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci