La battaglia di un'infermiera: "Voglio curare i negazionisti del covid"

Domenica 15 Novembre 2020 di Davide Piol
L'infermiera, finito il lavoro, si mette al computer per rispondere via social a chi minimizza la malattia
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BELLUNO - «Buongiorno, io sono un’infermiera che lavora in Pronto soccorso…». Il messaggio inizia quasi sempre così. Poi, in modo calmo e pacato, viene raccontato ciò che accade all’interno dell’ospedale a chi ancora non crede all’emergenza sanitaria o vorrebbe ridimensionarla. È quasi una missione quella che si è caricata sulle spalle Chiara Tommasi, infermiera al Pronto soccorso di Feltre: lottare contro ogni forma di negazionismo. Ma “lottare” non è la parola corretta. Perché, in questo caso, non esistono né vincitori né vinti. Ci sono però pazienti che guariscono e altri che muoiono. Persone che indossano la mascherina e altre che rischiano di mandare all’aria gli sforzi fatti finora per limitare la diffusione del virus. «I colleghi mi dicono di lasciar perdere – confida Chiara – Ma non lo trovo giusto. Siamo passati da eroi a nullità. E quando usciamo, distrutti, dall’ospedale ci puntano pure il dito contro».
LO SCONFORTO
Gli “angeli” del coronavirus cominciano a essere stanchi. E non solo a causa dell’enorme mole di lavoro con cui si confrontano ogni giorno. «È stata una nostra scelta e amiamo ciò che facciamo» sottolinea l’infermiera feltrina. Il problema ora è fuori e si materializza nei commenti dei negazionisti: «I Pronto soccorso sono vuoti», «Cosa ci nascondete?», «È tutto un complotto». Qualcuno si è addirittura intrufolato nella sala d’aspetto del Pronto soccorso di Feltre, l’ha ripresa col telefonino e ha poi postato il video sui Social credendo di aver dimostrato che, essendo vuota, non c’è alcuna emergenza. «Forse il signore non sa che gli accompagnatori non possono più entrare da marzo scorso – replica Chiara Tommasi – Questo non significa che non ci siano pazienti. Anzi. Gli farei fare un giro all’interno dell’ospedale per fargli capire in quali condizioni lavoriamo. Non so se si aspettava di trovare i pazienti per terra. Qui stiamo bene in confronto ad altre realtà ma i numeri sono comunque alti rispetto alla popolazione». Non è raro vedere persone entrare in ospedale con la mascherina sotto il naso. O addirittura abbassarla per farsi capire meglio dall’interlocutore: «Sono soprattutto anziani, ma spesso anche i figli e i parenti. Ti rendi conto che portano la mascherina perché è un obbligo e non perché sanno a cosa serve».
LA FATICA
Chiara fa anche i giri in ambulanza. In altre parole va a prendere le persone con problemi respiratori a casa. Procedure diventate più lunghe e complesse a causa del covid. Potrebbero essere riassunte nella formula “vesti, svesti, disinfetta”. «Noi resistiamo, abbiamo lavorato anche in condizioni peggiori – spiega l’infermiera – Ma c’è un crollo psicologico. Alcuni colleghi che non ce la fanno più». L’aspetto più disarmante dell’emergenza sanitaria è che «ha fatto perdere l’umanità nelle persone». Per Chiara Tommasi il covid ha avuto il difetto di rendere “sterili” non solo gli ambienti ma anche i rapporti umani: «Mi spiego meglio. Gli anziani sono soli nella malattia e circondati da medici e infermieri vestiti da astronauti».
LE DIFFICOLTÀ
La doppia mascherina altera e abbassa la voce.

I guanti rendono i contatti freddi ed estranei. «Trattato in questo modo, come si può sentire il paziente? – si chiede l’infermiera feltrina – Alcuni urlano perché non capiscono. Gli abbiamo tolto anche il sorriso. Eppure non possiamo far altro». A fine turno gli infermieri tornano a casa. Stanchi, provati da ciò che hanno visto e preoccupati di portare il virus tra le mura domestiche. È a questo punto che sbucano i negazionisti con le loro teorie complottiste. «Credo che abbiano un cuore anche loro – conclude Chiara – Dovrebbero pensare alla solitudine dei pazienti covid. Soli e ammalati in un posto che non conoscono. Non auguro lo stesso ma spero che si possano rendere conto presto. Io cercherò di convincerli…». 

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