Nel 2020 già perse 150 aziende, l'edilizia vuole ripartire

Martedì 21 Aprile 2020 di Andrea Zambenedetti
L'edilizia sogna di ripartire
Ieri l’atteso intervento del presidente del Consiglio Giuseppe Conte non ha permesso altri sospiri sollievo. La fine del lockdown rimane quindi distante due settimane: quella in corso, e la prossima. Ma che provincia ci sarà al termine della quarantena è difficile immaginarlo ora. Per tracciare i confini di quello che potrebbe succedere basta dare un’occhiata ai numeri diffusi dalla camera di commercio. Nel primo trimestre del 2020, in provincia di Belluno, hanno chiuso i battenti cento cinquanta imprese. Si tratta del peggiore dato degli ultimi dieci anni, fatta eccezione per il 2018, quando il saldo era di -204.
IL CONTESTO
Riguardando anche il mese di gennaio e l’intero febbraio è più che verosimile che i numeri derivino da una flessione indipendente dai timori legati alla pandemia e al coronavirus. Ma guai a scambiarla per una consolazione. Si tratta di un elemento ancora più serio perché indica che prima dell’epidemia l’economia locale era già sotto pressione. L’analisi del dato mensile, del resto, conferma che la parte più rilevante del saldo negativo è matura nel mese di gennaio (-119 imprese) e di febbraio (-41). A marzo invece il saldo iscrizioni e cessazioni d’impresa si porta, di poco, in positivo (+10). Le imprese attive a Belluno a fine marzo erano 13.760 (-144 rispetto ai dodici mesi precedenti). Il settore più penalizzato è quello del commercio al dettaglio che perde -82 imprese su base annua (-4,5%), facendo registrare la flessione tendenziale assoluta più bassa dell’ultimo decennio. Il manifatturiero (-22 sedi) deve il suo saldo negativo interamente al settore della metalmeccanica il cui stock si riduce di -25 imprese rispetto all’analoga consistenza di un anno fa. Risultano in diminuzione anche l’agricoltura (-20 imprese), le costruzioni (-17), ma con un saldo negativo in riduzione rispetto agli anni precedenti), i servizi alle persone (-17), mentre si mantiene sulla stazionarietà il settore alloggio e ristorazione (-1 unità). L’unico comparto ad evidenziare una variazione annuale positiva è quello dei servizi alle imprese (+27) che deve tuttavia scontare la perdita nel settore trasporti e magazzinaggio (-8). Quanto alle imprese artigiane le flessioni si concentrano nel manifatturiero ed in particolare nel settore metalmeccanico (-22 imprese) e nel settore trasporti e magazzinaggio (-10). Insomma se questo è il quadro dei primi due mesi dell’anno, prima che scattasse il lockdown, c’è poco da sperare nei bilanci dei prossimi mesi. 
L’APPELLO
«Prevalga la ragione - sostiene con forza Michele Basso, direttore di Confartigianato Belluno - basta con i codici Ateco, basiamoci sui livelli di rischio. L’edilizia con un solo addetto e un collaboratore familiare, per esempio, sono già in sicurezza. Noi diciamo che bisogna puntare su quelle. Fare una distinzione anche tra imprese edili. Non è la stessa cosa un’impresa con 150 dipendenti e una con uno o due lavoratori. Serve una differenziazione del rischio». «Viviamo alla giornata, ma le giornate ormai sono lunghe - spiega Antonio Olivotto, numero uno dell’Ance di Belluno - è chiaro che dobbiamo dare la priorità alla salute e alla sicurezza ma più si trascina lo stop più diventa difficile. Le aree di montagna hanno già finestre molto ridotte. Da noi tra novembre e marzo non si può lavorare. L’anno più corto è una condizione a cui siamo abituati ma la carenza di liquidità potrebbe minare qualcuno già in difficoltà. Noi ci auguriamo che non succeda perché già siamo in pochi. Il nostro è un lavoro che si svolge prevalentemente all’aperto. Per questa ragione è forse più sicuro di altri. Non spetta a me la decisione, ci sono sicuramente persone più competenti ma io dico che la situazione inizia a farsi davvero pesante».
Ultimo aggiornamento: 20:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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