Ribadiscono piena fiducia nell’operato della magistratura, attendono la conclusione formale delle indagini e si riservano di presentare le proprie conclusioni difensive. È questa la posizione dei parenti di Stefano Ansaldi, il ginecologo deceduto a Milano lo scorso 19 dicembre, in circostanze per molti versi misteriose.
Restano alcuni nodi da sciogliere, su cui - come raccontato in questi mesi dal Mattino - indaga anche la Procura di Napoli. Al lavoro la Dda partenopea, che sta seguendo il caso in un rapporto di stretta collaborazione con i colleghi milanesi. Diverso ovviamente il punto di osservazione degli investigatori napoletani, che puntano a verificare una circostanza su tutte: il ginecologo era finito - magari a sua insaputa - al centro di pressioni da parte di soggetti in odore di camorra? Una circostanza tutta da verificare (per la quale è giusto ribadire il ruolo di estraneità di Ansaldi da qualsiasi ipotesi di reato), che ha spinto la Procura del Centro direzionale a tenere un faro investigativo acceso sull’intero mondo relazionale di Ansaldi. Investimenti, rapporti di lavoro, ambizioni, conti correnti, contatti telefonici, intraprese legate al mondo farmaceutico, eventuali debiti o ammanchi. Anche in questo caso si parte da una domanda di fondo: cosa ha spinto il professionista ad impugnare un coltello (la cui provenienza resta dubbia) e a sgozzarsi a Milano? Perché non chiudere i conti nel proprio studio medico, magari in modo più indolore? Verifiche su alcuni broker o intermediari a loro volta riconducibili al clan Lo Russo di Miano. Contatti che il medico potrebbe aver stretto senza essere a conoscenza del loro retroterra criminale, in una traiettoria tutta da mettere a fuoco: da Napoli a Milano, destinazione finale Dubai, che racchiude nei suoi caveux il tesoro della camorra.
l.d.g.
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