Ambiente, colate di cemento, dissesto territoriale. L’isola verde più che l’emblema degli eccessi, è la sintesi di una incompiutezza legislativa da colmare: Ischia è la cartina di tornasole di un fenomeno che attanaglia l’Italia.
L’assenza di strumenti urbanistici ha indotto la corsa al mattone selvaggio.
«In Soprintendenza c’è poco personale e ci vorrà mezzo secolo, se non di più, per smaltire l’enorme carico», spiega l’avvocato Bruno Molinaro che è tra i maggiori studiosi del fenomeno. «I Comuni non hanno organici sufficienti e – aggiunge il legale - danno incarico a tecnici esterni, impegnati anche per le richieste istruttorie delle Procure sulle singole demolizioni giudiziali conseguenti a sentenze di condanna passate in cosa giudicata».
È una delle ferite aperte: i bulldozer dietro l’angolo. Pochissime demolizioni, non più del 2 per cento, sono state eseguite. Si tratta quasi sempre di prime case, «punizioni inique» contro le quali si è scagliata più volte la diocesi isolana, a cominciare dal compianto vescovo Filippo Strofaldi. La cronaca recente, poi, parla per lo più di autodemolizioni da parte dei privati. «Lo Stato è incapace di reprimere per ragioni economiche e – spiega l’avvocato - di ordine pubblico».
Ma come si aggira l’impasse? Occorre una legge ad hoc. Decisiva, a giudizio dell’esperto. «La soluzione - sottolinea Molinaro - la soluzione potrebbe essere una legge volta a riabilitare, attraverso il “ravvedimento operoso” del trasgressore, gli immobili destinati ad uso residenziale e non di lusso. La legge sarebbe finalizzata a un effettivo contrasto dell’abusivismo edilizio. Consentirebbe la riabilitazione e, quindi, la revoca delle sanzioni amministrative e penali - continua Molinaro - solo una volta accertata l’esecuzione, da parte del trasgressore presso gli immobili interessati, di opere di prevenzione del rischio sismico e idrogeologico, di bonifica, di messa in sicurezza permanente, di miglioramento della qualità architettonica, energetica e abitativa». Una legge innovativa che ridurrebbe l’impatto della cementificazione, trasformandolo in una potenziale risorsa.
La frana tragica, intanto, rilancia l’interrogativo cruciale: perché quelle case sono state costruite proprio lì? I geologi locali ricordano che l’area interessata è fuori dal «rischio sismico» ma non dai gravi rischi di collasso delle ripide dorsali montagnose. Rischi moltiplicati dalla mancata manutenzione degli alvei e delle briglie di contenimento della lava. Dove c’erano sparute case coloniche, dal Dopoguerra in poi le costruzioni si sono moltiplicate. A dispetto dei vincoli - ben undici - istituiti un po’ alla volta su un’isola dall’ inestimabile valore paesaggistico e dalla grandissima fragilità idrogeologica. Vincoli fin troppo difficili da rispettare: e perciò semplicemente ignorati, nell’indifferenza di chi avrebbe dovuto controllare.