I ragazzi e le ragazze di Kiev, giovani ventenni o poco più che conoscono l'Europa, il mondo, hanno studiato all'estero, amano viaggiare ma restano legati al loro paese, alla nostalgia della famiglia, della lingua, come i nostri ragazzi italiani.
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LE VOCI
Sofia, 25 anni come Artur, è in un villaggio a 200 chilometri da Kiev. Ha scritto ai suoi amici in Gran Bretagna dove si è laureata e dove oggi avrebbe dovuto affrontare il suo primo giorno di lavoro, a Londra. «Grazie per l'immenso, indescrivibile amore e supporto di questi giorni. Oggi, per la prima volta, ho capito cosa si prova a cercare rifugio sottoterra da un attacco aereo». È tutto nuovo per lei. «I razzi su obiettivi civili, i parà che si lanciano E tutto dal più grande Paese del mondo. Non bastano le parole. Come può essere che qualcuno decida di cancellare' un altro Paese sovrano nel mondo moderno». Sofia conosce i classici, cita Tucidide senza nominarlo: «Il forte fa quello che può e il debole fa ciò che deve». I suoi amici in Russia, scrive, si sentono «impotenti, scioccati, si scusano». È la rete mondiale dei ragazzi. Quelle due ore di missili sono state un brusco risveglio. «Esplosioni ogni dieci secondi, noi sottoterra. Non pensavo che Zelensky fosse così coraggioso, è bello che sia rimasto con noi, che abbia rifiutato l'offerta di andare negli Stati Uniti. La resistenza qui è fortissima. Faremo di tutto per vincere, questo è il nostro Paese ed è giusto che sia così, perché nel Ventunesimo secolo deve valere il concetto di sovranità». I suoi futuri datori di lavoro sono stati «fantastici, mi hanno dato tutto il supporto fin dall'inizio, non mi hanno costretto a partire a costo della mia sicurezza, mi aiuteranno per il visto e mi pagheranno il viaggio se dovrò andare via terra attraverso la Polonia». La rete. L'Europa.