Vittorio Emanuele, la vita privata: «Lo sci, la caccia, gli aerei. Ma l’esilio era una ferita»

Mariofilippo Brambilla di Carpiano racconta il Vittorio Emanuele privato: «A casa sua artisti e cantanti, da Balthus ad Hallyday»

Sabato 3 Febbraio 2024 di Marco Ventura
Vittorio Emanuele, la vita privata: «Lo sci, la caccia, gli aerei. Ma l’esilio era una ferita»

Mariofilippo Brambilla di Carpiano, trentottenne Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, non vuol essere definito “amico” di un uomo, Vittorio Emanuele di Savoia, che aveva «quarant’anni più di me ed era il figlio del Re».

Eppure, tra loro si era creata un’intimità di frequentazioni sul Lago di Ginevra, a Gstaad nel cantone di Berna, in Corsica a Cavallo, a Roma nel palazzo del marchese Ferrajoli, davanti a Chigi.

A 17 anni, era col Re al rientro a Napoli, a Milano, Torino, in Val d’Aosta… «Traspariva nel Principe di Napoli una figura umana estremamente aperta, alla mano, curiosa, con un forte interesse per la storia e per tutto ciò che avveniva in Italia, e una profonda conoscenza delle imprese italiane che negli anni ’70 aveva rappresentato molto bene in Iran dov’era andato su invito dello Scià. Un rapporto nato quando lo Scià, prima di sposare l’ex imperatrice Farah Diba, venne a Ginevra a chiedere la mano della sorella, Maria Gabriella di Savoia, e lei disse “no, grazie”».

 


Com’era la vita nella residenza di Gstaad?
«La porta era sempre aperta ai visitatori, a chiunque lo volesse incontrare, in un clima di cordiale accoglienza. Il suo era un salotto cosmopolita per qualsiasi tipo di persona, di idee diverse: politici, imprenditori, artisti, da Balthus a Johnny Hallyday e a Corrado Agusta. Aveva sense of humour, anche se con qualche difficoltà ogni tanto a farsi capire, specialmente dalla stampa italiana prevenuta».


Come visse l’esilio?
«Come una ferita enorme. Ai tempi della guerra e del referendum era un bambino. Con la legge d’esilio era rimasto tagliato fuori dal suo Paese. I Savoia erano additati come responsabili di tutte le disgrazie d’Italia. Fu molto più difficile per lui che per il Duca d’Aosta, il cugino, che non aveva la disgrazia di essere esiliato e perciò gli era più facile entrare in sintonia col Paese. Nel 2009, al Castello di Sarre in Val d’Aosta, si commosse, là aveva dei ricordi di quand’era ragazzo, di sua madre la Regina Maria José. I valdostani si sentivano italiani grazie al Re».


Quali erano le sue passioni?
«Amava raccontare. Una volta ci raccontò di un piccolo aereo che aveva imparato a pilotare, poi di un brutto incidente che ebbe alla Parigi-Dakar. Era un grande pilota, sapeva tutto di motori e di meccanica, estremamente preciso. Era pure un ottimo cacciatore, si direbbe ma non è bene dirlo “un ottimo fucile”, praticava ogni tipo di caccia, anche grossa. Era sportivo, sciatore. E collezionista appassionato di antiquariato militare dall’Italia. Si dispiaceva quando le collezioni andavano disperse. Una volta mi invitò a staccare dalla parete e smontare un fucile del Settecento per vedere il meccanismo. Glielo inceppai, ma non la prese a male. Era un uomo dolce che a volte si accalorava. Non era un freddo, era italiano. Una delle ultime volte sono andato con un amico comandante di flotta dell’Alitalia. Chiese di poter pilotare nel simulatore, ma non ci riuscimmo, erano i giorni della pandemia…».


Amava gli animali domestici?
«Sì, molto. Ha avuto una serie infinita di Labrador, via via che morivano gli dava un numero in progressione: 1, 2, 3… Adorava lo chalet storico di Gstaad arredato con tutti cimeli del Regno d’Italia, ricordi di famiglia. Era elegante, rappresentava la dignità del ruolo senza più il ruolo. Portava i segni del figlio di Re, avevi la percezione di trovarti di fronte all’ultimo principe ereditario d’Italia. E custodiva ricordi legati alle famiglie reali europee con cui era pure imparentato. Parlava italiano, francese, spagnolo, un po’ di tedesco e naturalmente il portoghese, in Portogallo aveva anche vissuto all’inizio dell’esilio e lo ricordava con piacere, c’erano molti reali in esilio rumeni, francesi... Era molto legato alla moglie, Marina Doria, un grande matrimonio d’amore, fino all’ultimo molti vicini e uniti».


C’è stata però anche la morte di Dirk Hamer a Cavallo…
«Di questo vorrei non parlare, lo sanno tutti la disperazione che è stata per lui… Accanto al Principe di Napoli mi è sembrato di attraversare un lungo capitolo di storia nazionale, perché come diceva Indro Montanelli fu una follia strappare e gettare nell’oblio pagine di storia che erano state scritte, l’ostracismo non poteva cancellarle. Ora è morto, nell’ospedale cantonale di Ginevra, in Svizzera, come il padre nel 1983 e la madre nel 2001».
 

Ultimo aggiornamento: 5 Febbraio, 10:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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