Se Putin attaccherà la Nato chi andrebbe in guerra in Italia? Chiapperini: «Molte criticità, ma non ci sarà leva obbligatoria»

Il generale di Corpo d'Armata dei lagunari: "L'articolo 5 della Nato scatta solo in caso di attacco a un Paese membro"

Sabato 30 Marzo 2024
Se Putin attaccherà la Nato chi andrebbe in guerra in Italia? Chiapperini: «Molte criticità, ma non ci sarà leva obbligatoria»

La pace in Ucraina è solo un miraggio lontano.

La situazione invece è sempre più complessa e c’è sempre il rischio di un casus belli che possa coinvolgere un Paese della Nato estendendo di fatto il conflitto. Ipotesi da fantageopolitica ma di sicuro non escludibile del tutto.

Il generale di Corpo d'Armata in quiescenza dei lagunari Luigi Chiapperini, già pianificatore nel comando Kosovo Force della NATO, comandante dei contingenti nazionali NATO in Kosovo nel 2001 e ONU in Libano nel 2006 e del contingente multinazionale NATO in Afghanistan nel 2012, autore del libro “Il Conflitto in Ucraina” (Francesco D’Amato Editore 2022), attualmente membro del Centro Studi dell’Esercito analizza lo scenario attuale.

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In caso di estensione del conflitto e di entrata in guerra con la Russia di un Paese Nato cosa succederebbe? Verrebbe applicato il famoso articolo 5?
«Non automaticamente. La Nato è un’organizzazione politico-militare nata per difendere in maniera collettiva ciascuno dei suoi membri. Pertanto quando ci riferiamo all’ipotetica entrata in guerra con la Russia della Nato a seguito del coinvolgimento di uno dei suoi Paesi, il presupposto è che esso sia stato attaccato e non che sia semplicemente in stato di belligeranza per una scelta unilaterale. Ha fatto scalpore anche la notizia secondo la quale, parole del presidente russo, Mosca abbatterà gli aerei F-16 che fornirà l’Occidente e prenderà di mira gli aeroporti dell’area Nato se l’Ucraina dovesse utilizzarli per i suoi attacchi. Ritengo però che siano affermazioni sensazionalistiche basate su ipotetici scenari che non si verificheranno. Come accaduto sinora, gli F-16 e tutti gli altri equipaggiamenti che saranno forniti all’Ucraina opereranno sicuramente dal territorio ucraino e la Russia in quel caso, e solo in quel caso, ha il diritto di contrastarli. Ben diverso sarebbe se ci fossero azioni militari da parte di Mosca ad esempio contro uno dei Paesi baltici senza che da questi partissero offese contro il suo territorio e le sue forze armate. In quel caso la NATO applicherebbe l’articolo 5 ed entrerebbe direttamente nel conflitto per difendere la propria area di competenza».

Chi interverrebbe per primo e in che misura?
«Le prime ad intervenire sarebbero le forze armate del paese aggredito e le forze Nato di rinforzo ivi dislocate proprio per deterrenza. Queste ultime sono schierate sul fianco est dell’Alleanza atlantica da qualche anno a seguito della politica assertiva e aggressiva della Russia che aveva portato all’occupazione della Crimea e del Donbas.  Si tratta di otto Task Force multinazionali di diversa consistenza, dal livello reggimento a brigata, supportate da assetti aerei e navali a seconda delle nazioni interessate che al momento sono, oltre ai tre Paesi baltici, l’Ungheria, la Polonia, la Romania, la Slovacchia e la Bulgaria. Queste forze, alquanto limitate, avrebbero il compito di reagire per prime in caso di attacco per dare il tempo all’Alleanza di schierare forze aggiuntive, le cosiddette Nato Response Forces».

 

Quali sarebbero compiti e ruoli dell'Italia?
«L’Italia, al pari degli altri membri Nato, contribuisce con alcuni assetti di tutte le forze armate schierandoli periodicamente a turno sul fianco est. Naturalmente l’Italia dispone anche di unità e comandi aggiuntivi pronti a schierarsi in caso di necessità al fianco degli alleati. Nell’ultimo vertice di Vilnius del mese di luglio 2023 l’Alleanza avrebbe deciso di portare la consistenza delle sue Response Force a circa 300 mila unità rispetto alle 30 mila che erano prima dell’attacco russo all’Ucraina».

In caso di guerra, se le forze non dovessero essere sufficienti, chi verrebbe impiegato in Italia?
«Nel caso che speriamo non debba mai verificarsi di una guerra mondiale potremmo trovarci in difficoltà. Siamo già in una situazione critica. Tutti gli impegni ad Est di cui abbiamo parlato, unitamente a quelli connessi con le operazioni di stabilizzazione in corso in Libano, in Kosovo, in Iraq e in altre parti del mondo e alle esigenze di concorso alle forze di polizia sul territorio nazionale per il contrasto al terrorismo, rendono gravoso e al limite della sostenibilità l’attuale peso sulle spalle delle nostre forze armate. Non devono quindi fare scalpore le dichiarazioni dei nostri vertici politici e militari, da ultimo quelle del Ministro Crosetto e del Capo di Stato Maggiore della Difesa Cavo Dragone, che hanno sollecitato uno sforzo della nazione volto a potenziare quantitativamente e qualitativamente le nostre forze armate».

Verrebbe riattivata la leva obbligatoria?
«La leva obbligatoria è stata un’esperienza positiva per il nostro Paese ma andava bene al tempo della Guerra Fredda o nel caso si dovesse arrivare ad una guerra mondiale. Non siamo in quella situazione anche se le criticità connesse con la sicurezza a livello mondiale continuano a crescere. Peraltro l’invecchiamento del nostro potenziale umano con soldati in servizio che hanno un’età media oltre i quarant’anni e le scarse risorse dedicate alla Difesa che non hanno consentito sinora di assicurare la disponibilità di alcuni tipi di equipaggiamenti militari e, ancor più grave, di non garantire un addestramento continuo e realistico ai nostri soldati, sono criticità che meritano molta più attenzione come da anni continuano a ripetere i nostri vertici. In questa fase più che la leva obbligatoria risulta opportuno “svecchiare” le forze armate, incrementare come detto il loro numero e pensare ad una forza di riserva di una certa consistenza». 

In quel caso sarebbe necessario un adeguato addestramento. Che tempi richiederebbe nella più ottimistica delle previsioni?
«Abbiamo l’esperienza della leva. Per formare ed addestrare adeguatamente nuovi soldati, specialmente in alcuni ruoli specialistici, c’è bisogno di almeno un anno. I moderni sistemi d’arma, tecnologicamente avanzati, necessitano di operatori adeguati e all’altezza delle sfide che detti sistemi presentano per il loro utilizzo efficace».  

Ritiene che in situazioni come queste sarebbe utile la concretizzazione di quella difesa comune europea e di quell'esercito europeo di cui tanto si parla?
«La Difesa comune europea è una priorità nel momento in cui dovesse venire a mancare l’impegno degli Stati Uniti i quali assicurano ad esempio la deterrenza nucleare, il trasporto militare strategico e la superiorità nel dominio spaziale. Ma non si tratta di costruire, come molti dicono, un esercito europeo poiché sulla carta esiste già, al netto di quelle capacità strategiche di cui parlavo. Si tratterebbe invece di realizzare una vera e propria politica comune estera e di difesa dell’Unione Europea che invece è molto più ardua da concretizzare. L’Occidente è sotto attacco, lo vediamo in Africa, in Ucraina, in Israele, nel Golfo Persico e nel Mar Cinese Meridionale. Al momento quindi risulta fondamentale mantenerci quanto meno coesi a livello europeo e affidarci al ruolo fondamentale della Nato, senza dimenticare i Paesi amici come, tra gli altri, quelli arabi moderati nel Levante allargato e il Giappone, la Nuova Zelanda e l’Australia nell’Indo-Pacifico. Rimanere indifferenti facendo finta che nel mondo vada tutto bene o che non ci riguardi sarebbe un suicidio». 

Ultimo aggiornamento: 31 Marzo, 15:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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