Iran-Isis, l'ambasciatore Stefanini: «Teheran non vuole aprire il conflitto con Israele perché interverrebbero gli Usa»

L'ex consigliere diplomatico del presidente Napolitano: «È un confronto interno all’Islam passato in secondo piano dopo il 7 ottobre, quando è emerso il supporto dell’Iran sciita a un movimento sunnita come Hamas. Ma la faida inter-musulmana continua»

Venerdì 5 Gennaio 2024 di Marco Ventura
Iran-Isis, l'ambasciatore Stefanini: «Teheran non vuole aprire il conflitto con Israele perché interverrebbero gli Usa»

«La rivendicazione dell’Isis della terribile strage di civili a Kerman è un promemoria, ci ricorda che al di là del conflitto tra Hamas e Israele e dei rischi di allargamento della guerra nella regione causati dalle milizie vicine all’Iran, nel Golfo e alla frontiera nord di Israele, c’è nell’Islam una sorda e tragica guerra tra musulmani», spiega l’ambasciatore Stefano Stefanini, già rappresentante dell’Italia presso la Nato ed ex consigliere diplomatico del Presidente Napolitano. «L’Isis - dice - è la forma più estrema e crudele del fanatismo sunnita, mentre l’Iran è il portabandiera dell’Islam sciita. È un confronto interno all’Islam passato in secondo piano dopo il 7 ottobre, quando è emerso il supporto dell’Iran sciita a un movimento sunnita come Hamas.

Ma la faida inter-musulmana continua».

Teheran non aveva subito puntato il dito contro Israele?
«Per gli iraniani, e non solo per il regime, accusare Israele è stata una reazione pavloviana contraria all’evidenza. Israele sta perseguendo una guerra ibrida e non si fa scrupolo di colpire capi di Hamas o Hezbollah con omicidi mirati, come a Beirut il numero due di Hamas. Ma quanto è successo a Kerman è terrorismo allo stato puro. Israele queste cose non le fa. Che gli iraniani ne fossero convinti almeno fino alla rivendicazione dell’Isis, non solo a fini propagandistici e di regime, dà la misura del livello della loro “non conoscenza” di Israele, e della mentalità complottista del Grande satana e del Piccolo satana, Usa e Israele, che pervade il regime iraniano».

Ma il leader di Hezbollah in Libano, Nasrallah, si è astenuto finora dall’entrare apertamente in guerra con Israele
«I danti causa iraniani non vogliono aprire un conflitto con Israele, perché gli Usa hanno lanciato il messaggio a Hezbollah che l’apertura di quel fronte avrebbe portato a una risposta americana, o per il calcolo iraniano di cavalcare la crisi senza però ritrovarsi direttamente in guerra».

C’è chi sostiene che Israele e americani dovrebbero attaccare l’Iran
«Quando nel 2003 Bush jr. incluse l’Iran nell’Asse del Male come Stato canaglia, il risultato fu che l’Iran si ritrovò meno isolato perché strinse un’alleanza sul terreno con la Russia, che ora aiuta con droni e altri sistemi d’arma contro l’Ucraina. Inoltre, l’Iran non è isolato in quei due terzi del Globo che cercano di mantenersi neutrali tra Occidente e Russia-Cina. E malgrado il popolo si sia impoverito con gli Ayatollah, l’Iran come potenza militare si è consolidata. La sua rete internazionale è oggi molto articolata, è passato da un rapporto antagonistico coi Paesi del Golfo alla guardinga convivenza. E poi l’Iran è un grande Paese per popolazione, storia, risorse e capacità intellettuali. Entrare in guerra con l’Iran comporterebbe rischi notevoli, sarebbe un errore geo-politico».

Quale disegno persegue Teheran?
«Non sappiamo se abbia avallato la carneficina del 7 ottobre. Ma certo ha fornito ad Hamas una capacità offensiva. Il suo disegno strategico potrebbe essere solo quello di creare un fronte sciita nel nord del Medio Oriente tra Libano e Siria, oltre a contare su minoranze sciite importanti nei Paesi del Golfo. Il continuo confronto esterno con Israele e Usa è utile al regime per restare in sella, contro una società civile che resiste e si ribella alle imposizioni teocratiche».

E qual è il disegno di Israele?
«Quello degli israeliani è eliminare la minaccia di Hamas e tornare alla situazione pre-7 ottobre, riprendendo un rapporto cooperativo con gli Stati arabi sunniti. Ma questo impone a Israele di affrontare la questione dei due Stati. Gli israeliani ragionevolmente dicono che adesso non è il momento, eppure era già una condizione del dialogo con l’Arabia Saudita e ora è ancora più necessario. Netanyahu, invece, non ha alcuna intenzione di dar vita a uno Stato palestinese. Essere il capo di una grande guerra patriottica che porti all’annessione di Giudea e Samaria, come gli israeliani chiamano la Cisgiordania, può essere il suo modo di far dimenticare le responsabilità negli errori madornali di sicurezza commessi il 7 ottobre. Non credo che gli israeliani glielo consentiranno, ma Netanyahu è il leader che per restare al potere si è alleato con tutti ed è capace di tutto».

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