Totoministri, cresce il pressing
per Tabellini all'Economia

Giovedì 20 Febbraio 2014 di Alberto Gentili
Guido Tabellini
E’ stato il Risiko dei ministeri a tenere impegnati per oltre due ore Giorgio Napolitano e Matteo Renzi. In particolare la casella dell’Economia, giudicata strategica sia dal capo dello Stato, sia dal premier incaricato. E non sono state due ore semplici. Né per l’uno, né per l’altro.



Renzi è salito al Quirinale con in tasca un foglietto con due schemi. Nel primo, il più gradito, c’era il suo braccio destro Graziano Delrio (andato anche lui sul Colle) nel ruolo di ministro dell’Economia e due vice tecnici «molto preparati e credibili». Nel secondo schema, l’ex rettore della Bocconi Guido Tabellini, «uno di cui mi fido e che ho imparato a conoscere» per la poltrona che fu di Quintino Sella. Più due viceministri: «Politici competenti e affidabili». E c’è da dire che l’ipotesi-Tabellini sarebbe apprezzata dal capo dello Stato. Tornando al primo schema, c’è chi dice che sarebbe in corsa anche l’ex senatore del Pd ed economista Enrico Morando, con buoni rapporti con il Quirinale e renziano convinto.



«Diversità di vedute» E’ facile supporre che al capo dello Stato, il premier incaricato abbia detto ciò che va ripetendo in queste ore a numerosi interlocutori: «Serve una forte sintonia tra palazzo Chigi e il Tesoro, altrimenti si creerebbe una dannosa diarchia. Quella che ha paralizzato negli ultimi anni le scelte economiche».



Nel cerchio ristretto di Renzi nessuno vuole accreditare la tesi di una contrapposizione con Napolitano. Al massimo si parla di «diversità di vedute». Con il Presidente che punta a un ministro dell’Economia con un stand internazionale di rilievo, credibilità riconosciuta e fedeltà alla dottrina del rigore di bilancio cara a Bruxelles e al presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi. E con Renzi che sa di giocarsi la partita della vita, «senza possibilità di errori» e dunque vuole assolutamente avere «la regia delle scelte economiche». «Perché se non hai il controllo dell’Economia», dice un alto esponente della segreteria del Pd, «non puoi giocare la partita del governo e tantomeno sperare di vincerla». «Tanto più», aggiunge un altro renziano doc, «che la nascita dell’esecutivo guidato da Matteo rappresenta la rottura dello schema del governo del Presidente e non è pensabile che anche questa volta sia il capo dello stato a imporre al ministero dell’Economia un super tecnico che risponde a Bruxelles e non al premier».



L’incontro con Visco Da qui la bocciatura dell’ipotesi, forse mai esistita, di Ignazio Visco. «Troppo forte, troppo autorevole e autonomo». Ma da qui anche il pressing del governatore di Bankitalia, cui sembra partecipare anche Draghi, per la riconferma di Fabrizio Saccomanni. Nell’ora di colloquio con Renzi, tra le 15.30 e le 16.30 a palazzo Koch, Visco avrebbe sollecitato e raccomandato «continuità alla guida» del dicastero di via XX Settembre. «Senza però fare nomi», neppure quello di Saccomanni. Ma il messaggio è stato ugualmente chiaro, anche perché è stato accompagnato da un’altra sottolineatura del governatore: «Ovviamente senza competenza e stand internazionali non si può fare il responsabile del Tesoro».



Renzi ha ascoltato, senza duellare. E ha ascoltato, ancora una volta evitando di replicare, quando Visco ha smontato l’idea di poter discutere il parametro del 3% nel rapporto tra deficit e Pil. Per Bankitalia, ha sottolineato il governatore, serve rigore di bilancio e occorre assolutamente evitare di lasciarsi affascinare dal canto delle sirene che in questi ultimi tempi affermano che è possibile aggirare i vincoli europei. In più, secondo Visco, i problemi dell’Eurozona non si risolvono con meno Europa, ma con più Europa. La nota ufficiale però è molto scarna, Bankitalia si è limitata a rivelare che «nel corso dell'incontro si è parlato dell'attuale situazione congiunturale e delle principali tematiche economiche, sia italiane sia europee».



Il caso-Saccomanni C’è da giurare che Renzi non si sia lasciato convincere. Non del tutto, almeno. Nel suo piano c’era - e c’è - ancora l’avvio della trattativa per aggirare il tetto del 3%, promettendo in cambio a Bruxelles e ai partner europei «riforme strutturali». E tantomeno ha ceduto all’idea di riconfermare Saccomanni. Il ministro uscente dell’Economia è stato criticato spesso dal segretario del Pd. E, trascorsi a parte, non c’è un solo esponente del Pd (minoranza inclusa) che non consigli al premier incaricato di mettere freno e disarmare «l’armata oscura» che controlla il Tesoro. «Una tecnocrazia», per dirla con un altro renziano, «che da quelle stanze muove le leve del Paese e, genuflessa com’è all’ortodossia del rigore, ha impedito all’Italia di agganciare la ripresa al pari degli altri».



Se questo è il clima, è chiaro perché Renzi sembra preferire Tabellini. Un tecnico sì, ma non uscito dalle stanze di Bankitalia e dunque (a giudizio del premier incaricato) meno legato a quell’establishment che teme e a cui vorrebbe tagliare le unghie. Un tecnico uscito dalla sua agenda, non da quella del governatore. E dunque «un tecnico», per dirla con chi accompagna ora per ora Renzi nella sua esplorazione, «più in sintonia con Matteo». Sicuramente più controllabile.
Ultimo aggiornamento: 09:52

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