Strage di Brandizzo, il caposquadra ancora sotto choc: «Ripete di continuo i nomi degli amici»

A parlare è Deborah, la cognata di Andrea Girardin Gibin, il caposquadra di 53 anni sopravvissuto alla strage di Brandizzo

Sabato 2 Settembre 2023 di Erica Di Blasi
Strage di Brandizzo, il caposquadra ancora sotto choc: «Ripete di continuo i nomi degli amici»

«Andrea è in stato di choc. Da anni andava a lavorare insieme ai suoi compagni, e continua a ripetere i loro nomi. Forse l’istinto gli ha permesso di salvarsi, dato che appena ha visto la luce del treno si è buttato dall’altra parte». A parlare è Deborah, la cognata di Andrea Girardin Gibin, il caposquadra di 53 anni sopravvissuto alla strage di Brandizzo, nel Torinese, dove un treno nella notte tra mercoledì e giovedì ha travolto e ucciso cinque operai.

Ora l’uomo si trova nella sua casa di Borgo Vercelli, e sia lui che la moglie non parlano con i giornalisti né escono di casa. Anche lui è indagato. Ma a prevalere sembra essere il dolore. «Continua a ripetere i nomi dei suoi compagni» ribadisce la cognata. Non riesce a riprendersi da quello che ha vissuto in prima persona. «Ci hanno detto - spiega ancora la cognata del caposquadra - di non fagli vedere nessun telegiornale e di tenerlo lontano dai social. In questo momento non ha bisogno di ricordare nulla di quanto avvenuto. Dovrà essere seguito da psichiatri e psicologi per un po’ di tempo: giovedì è stato tutto il giorno sotto osservazione all’ospedale di Chivasso, anche con farmaci». Andrea lavorava da circa otto anni alla Sigifer, la ditta che ha sede proprio a Borgo Vercelli, di cui erano dipendenti anche i cinque colleghi morti nell’incidente che stavano lavorando per sostituire dei binari. 

SOTTO INDAGINE

Entrambi i sopravvissuti sono indagati. «Stanno malissimo, sono distrutti e non vogliono parlare con nessuno. Speriamo che presto venga tutto chiarito» dice una vicina di casa e amica della famiglia di Antonio Massa, 46 anni, di Grugliasco, in provincia di Torino. Lui era l’addetto di Rfi al cantiere, anche lui è indagato. Dall’altra parte ci sono parenti e familiari dei cinque operai morti che adesso chiedono giustizia. «A mezzanotte mi ha mandato un messaggio: “Papà ti amo”. E non l’ho più visto rientrare a casa. Io ho bisogno di giustizia: chi ha colpa paghi». Massimo Laganà è il padre di Kevin, 22 anni, il più giovane tra le vittime. Le sue ultime parole pronunciate proprio la sera di mercoledì uscendo di casa sono state: «Papà ci vediamo domani». «Un ragazzo che lavora, esce di casa e non torna più. Mio figlio è andato via tranquillo, ha mangiato, ha cenato. E poi… Mio figlio come vedete... gli amici sono qua presenti... Ecco cos’era mio figlio». Era felice per quell’impiego che aveva trovato. «Lavorava da un anno per la Sigifer - ricorda ancora il padre -. Andava tutte le sere. Sera, giorno, quello che capitava. Gli piaceva l’ambiente, si trovava bene, con gli amici, con la ditta, con tutti». Gli amici di Kevin si abbracciano, indossano tutti una maglietta con stampata una foto del loro amico con un falco su un braccio. «Siamo cresciuti insieme, era un ragazzo semplice, umile, educato, solare». Una frase ciascuno per comporre il ricordo dell’amico. «Non doveva succedere una cosa così, soprattutto sul lavoro. Uno la notte va a lavorare e non torna più. Dovrà pagare le conseguenze chi ha causato lo sbaglio. Non può essere un errore di comunicazione». E concludono all’unisono: «Giustizia, giustizia, perché non è una cosa normale nel 2023 che uno vada a lavorare e non torni più. L’unica cosa possiamo fare è inciderlo in ogni ricordo, bello o brutto che sia, così vivrà sempre». Di fronte a casa già giovedì qualche persona c’era e ieri sono diventate un centinaio, hanno anche sparato fuochi d’artificio, i mazzi di fiori non si contano, in mezzo ai palloncini. C’è uno striscione: «In ogni risata ci sarà il tuo nome per sempre nei nostri cuori» e sul telo bianco ci sono scritti decine di messaggi di amici, con il nome del ragazzo a lettere fatte di palloncini.

LA MAMMA 

Non si dà pace neanche Rosalba Faraci, la mamma di Michael Zanera. «Io e mio figlio ci sentivamo tutti i santi giorni. Lo chiamavo prima che andasse al lavoro e ho fatto così anche prima della sua ultima sera. Gli dicevo sempre buon lavoro. E di stare attento, perché sapevo che faceva un mestiere rischioso. Ora voglio la verità. Non è possibile che tanti vadano a lavorare e poi non escano dal posto di lavoro».
Tutto fermo, per ora, per quel che riguarda il via libera ai funerali delle cinque vittime. Probabilmente nei prossimi giorni, attraverso alcune procedure tecniche, compresi test del Dna, si tenterà di procedere al riconoscimento dei resti.

Ultimo aggiornamento: 4 Settembre, 12:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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