PADOVA - «Sono stato in un baratro tra la vita e la morte, non dobbiamo sottovalutare il virus perché c'è e ci sarà non si sa per quanto. Ho imparato a convivere con mascherina e guanti, invito tutti a fare questi sforzi. La mascherina ci salva la vita come la cintura di sicurezza».
Quando è uscito in barella dal reparto di rianimazione, Graziano Ruzza ha trovato ad accoglierlo il lungo applauso dei sanitari. È lui, 53enne di Agna, il primo paziente covid-positivo dimesso dalla Terapia intensiva dall’Ospedale di Schiavonia: «Sono uno dei pochi fortunati che ce l’hanno fatta - racconta, rivivendo la sua drammatica avventura a lieto fine - Quando mi hanno comunicato che mi avrebbero intubato e ho dovuto infilare la testa nel casco, tutta la vita mi è passata davanti. I ricordi, quello che ho fatto o avrei voluto fare, mia moglie, mio figlio. Un quarto d’ora dopo venivo sedato e partivo per il mio ‘lungo sogno’, durato 18 giorni». Inizialmente asintomatico, Graziano ha capito che qualcosa non andava una mattina che, salendo le scale, gli è mancato il fiato.
«Quando mi sono svegliato in Terapia intensiva – aggiunge – attorno a me c’erano molti biglietti di incoraggiamento, per me l’Ospedale di Schiavonia è stato come un albergo a cinque stelle. Ora ho imparato a vivere con la mascherina costantemente addosso, è la nostra cintura di sicurezza contro il virus. Giovani, anziani: dobbiamo tenere tutti alta la guardia e rispettare il lavoro dei sanitari, perché il virus c’è e ci sarà, non si sa ancora per quanto».
Oggi Graziano sta bene, è tornato in famiglia ed è un orgoglioso donatore nella sperimentazione regionale della plasmaterapia. «Il suo caso ci ha colpiti molto – spiega il dottor Fabio Baratto, primario dell’Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Schiavonia – perché allora si pensava che solo i grandi anziani potessero essere colpiti gravemente dal virus. Vedere Graziano uscire dalla rianimazione è stata una grande soddisfazione ed emozione per noi sanitari, perché finalmente cominciavamo a riconoscere i risultati dei nostri sforzi, dopo tante frustrazioni».
Ultimo aggiornamento: 23 Maggio, 09:45
© RIPRODUZIONE RISERVATA Quando è uscito in barella dal reparto di rianimazione, Graziano Ruzza ha trovato ad accoglierlo il lungo applauso dei sanitari. È lui, 53enne di Agna, il primo paziente covid-positivo dimesso dalla Terapia intensiva dall’Ospedale di Schiavonia: «Sono uno dei pochi fortunati che ce l’hanno fatta - racconta, rivivendo la sua drammatica avventura a lieto fine - Quando mi hanno comunicato che mi avrebbero intubato e ho dovuto infilare la testa nel casco, tutta la vita mi è passata davanti. I ricordi, quello che ho fatto o avrei voluto fare, mia moglie, mio figlio. Un quarto d’ora dopo venivo sedato e partivo per il mio ‘lungo sogno’, durato 18 giorni». Inizialmente asintomatico, Graziano ha capito che qualcosa non andava una mattina che, salendo le scale, gli è mancato il fiato.
«Quando mi sono svegliato in Terapia intensiva – aggiunge – attorno a me c’erano molti biglietti di incoraggiamento, per me l’Ospedale di Schiavonia è stato come un albergo a cinque stelle. Ora ho imparato a vivere con la mascherina costantemente addosso, è la nostra cintura di sicurezza contro il virus. Giovani, anziani: dobbiamo tenere tutti alta la guardia e rispettare il lavoro dei sanitari, perché il virus c’è e ci sarà, non si sa ancora per quanto».
Oggi Graziano sta bene, è tornato in famiglia ed è un orgoglioso donatore nella sperimentazione regionale della plasmaterapia. «Il suo caso ci ha colpiti molto – spiega il dottor Fabio Baratto, primario dell’Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Schiavonia – perché allora si pensava che solo i grandi anziani potessero essere colpiti gravemente dal virus. Vedere Graziano uscire dalla rianimazione è stata una grande soddisfazione ed emozione per noi sanitari, perché finalmente cominciavamo a riconoscere i risultati dei nostri sforzi, dopo tante frustrazioni».