Caso Yara, il gip: «Bossetti feroce e senza freni inibitori, potrebbe uccidere ancora»

Venerdì 20 Giugno 2014 di Claudia Guasco
Caso Yara, il gip: «Bossetti feroce e senza freni inibitori, potrebbe uccidere ancora»

Massimo Giuseppe Bossetti potrebbe uccidere ancora. Lo scrive il gip Ezia Maccora nell’ordinanza con cui ha disposto la custodia cautelare in carcere per il muratore di Mapello. Anche se ha respinto la richiesta di fermo del pm Letizia Ruggeri, la sostanza non cambia: Bossetti deve restare in carcere.

Secondo il giudice per le indagini preliminari sussiste infatti «il rischio di reiterazione del reato» e va valutata «la personalità» del presunto omicida di Yara Gambirasio, «dimostratosi capace di una tale ferocia, posta in essere nei confronti di una giovane e inerme adolescente abbandonata in un campo incolto dove per le ferite ed ipotermia ha trovato la morte». A oggi «non si conoscono le ragioni che hanno portato Bossetti a sfogarsi su una giovane ragazza», una vittima innocente «che non si sa se conosceva e se sulla stessa aveva già da tempo posto l’attenzione». Dunque, «pur trattandosi di un soggetto incensurato», proprio «la mancanza di freni inibitori dimostrata rende la misura cautelare necessaria».

Yara era pedinata. Dall’ordinanza emergono particolari inquietanti sulla vita della ginnasta di Brembate. Un’esistenza all’apparenza protetta, la scuola dalle suore a Bergamo, gli allenamenti con la squadra di ginnastica, l’oratorio. Ma il gip squarcia il velo su una realtà ben diversa, riportando ciò che ha raccontato il fratellino agli investigatori. «Yara aveva paura di un signore in macchina che la guardava e andava piano, che la guardava quando andava in palestra e tornava a casa.

La descrizione. L’uomo aveva una barbettina come fosse appena tagliata e una macchina grigia lunga», si legge nel provvedimento. Pare il ritratto di Bossetti, il manovale dal pizzetto curato, alla guida della sua Volvo grigio argento sequestrata dai carabinieri. Unico elemento che non collima nella ricostruzione del bimbo è il fatto che descriva l’uomo che ossessionava la sorella come «cicciottello», mentre Bossetti è un tipo segaligno.

E il fatto che la strada della vittima si sia incrociata con quella del suo presunto assassino lo ammette lo stesso indagato: «Per tornare dal lavoro dovevo transitare davanti alla palestra», ha detto proprio ieri ai magistrati. Ma giura di non aver mai visto la ginnasta, per la quale il tragitto dal centro sportivo alla villetta di via Rampinelli era ormai diventato un incubo.

Bossetti ricorda perfettamente ciò che ha fatto il 27 novembre 2010, l’ultimo giorno di vita di Yara: «Mi trovavo al lavoro a Palazzago in un cantiere di mio cognato». Il gip ricostruisce i suoi movimenti: «Esce la mattina presto per i lavori sui cantieri e torna a casa nel pomeriggio. Fa una doccia, si dedica ai figli e dopo cena si addormenta sul divano per stanchezza». Il manovale ama molto la sua famiglia, alla quale dedica tutto il suo tempo libero, è severo con i tre figli che conducono una vita appartata.

«Non frequentavano Brembate», afferma la moglie. Per l’accusa invece non era proprio così: se la mamma e i ragazzi non si facevano vedere in paese, Bossetti era spesso in giro e avrebbe avuto svariate occasioni per avvicinare Yara, carpendo la sua fiducia. Non avrebbe costretto con la forza la ragazza a seguirlo, tant’è che non gli viene contestato il sequestro di persona.

Questo è il buco nero che gli investigatori devono ricostruire: come e dove può avere avvicinato Yara. Purtroppo si conosce la fine, il corpo della ragazza «ripetutamente tagliuzzato» gettato in un campo, con ferite «prodotte con la vittima vestita». E per la «gravità intrinseca del fatto, connotato da efferata violenza», Bossetti deve restare in carcere.

Ultimo aggiornamento: 21 Giugno, 08:31
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