Pecora di Foza a rischio estinzione:
ne restano solo 163 in tutto il mondo

Sabato 3 Ottobre 2015 di Stefania Longhini
Pecora di Foza a rischio estinzione: ne restano solo 163 in tutto il mondo
Attenzione alle pietanze a base di agnello e pecora di Foza: ci sono i furbetti della tavola! La denuncia arriva dalla condotta Slow Food dell'Altopiano dei Sette Comuni che da qualche anno sta portando avanti un progetto di recupero e valorizzazione dello storico ovino al fine di recuperarlo e preservarlo da una sicura estinzione, pericolo per altro sempre dietro l’angolo.



Attualmente al mondo ci sono 163 capi certificati da “Veneto Agricoltura” che corrispondono ad ovini di razza Foza. Solo 163 animali, di cui più o meno una quarantina si trovano sull’Altopiano, molti dei quali fatti pervenire dall’associazione altopianese nel corso degli anni e sparsi nei vari comuni. Ci sono poi due allevatori nel bellunese ed uno nel bassanese che hanno qualche capo certificato.



I rimanenti capi si trovano nell'azienda sperimentale per la salvaguardia delle razze a rischio d'estinzione della Regione Veneto a Sedico (BL). E’ dunque facile capire la scarsa possibilità, seguendo i canali tradizionali, di reperire la materia prima per piatti a base di questa pregiata carne, ed ovviamente s'intuisce che un animale che risponde allo standard di razza sicuramente non viene abbattuto in quanto segue strade diverse per aumentare l'esiguo numero.

A questo punto si può tranquillamente affermare che qualsiasi capo certificato proveniente dalla Regione Veneto o presente sull'Altopiano è supervisionato dalla condotta Slow Food dell’Altopiano in modo da aver sempre sottomano lo sviluppo del progetto del recupero dell'animale.

“Il problema di queste proposte culinarie che definirei “selvagge” – dice il fiduciario di Slow Food Altopiano Mirko Rigoni - è chiaramente lo sfruttamento dell'animale da noi valorizzato al fine di proporre un piatto o più piatti per aumentare il proprio giro d'affari a danno ovviamente nel nostro lavoro, ma anche del consumatore finale il quale crede di degustare un prodotto unico e raro dell'altopiano. Dal punto di vista legale si parla chiaramente di “frode alimentare” in quanto si propone e vende un alimento e di fatto ne viene servito un'altro simile, con caratteristiche sensoriali e organolettiche totalmente diverse, raggirando il povero commensale ignaro di tutto ciò”.

Ed allora come tutelarsi?

“Come Slow Food – dice ancora Mirko Rigoni - possiamo, anzi dobbiamo tutelarci e tutelare i nostri soci e non, per non perdere di credibilità su un progetto molto importante. Le serate da noi organizzate con degustazioni a base di agnello razza Foza porteranno sempre il logo Slow Food al lato della dicitura del piatto, la stessa cosa vale per i ristoratori nostri soci che ne faranno richiesta in modo da dare un simbolo di garanzia al consumatore finale.

Per chi non è socio, ma avesse a disposizione della carne dell'ovino altopianese, mi impegno, dopo opportune verifiche, a fornire comunque una certificazione di garanzia.

Nel caso invece di chi propone dell'agnello o pecora di Foza senza queste premesse sicuramente non si tratta di carne del nostro nobile ovino. Alla peggio, vista la difficoltà del controllare le vie che può percorre la carne, chiedete la copia della fattura del macello dove l'animale è stato macellato; di solito viene espressamente dichiarata l'origine dell'animale. In mancanza di ciò, optate per un'altra scelta sicuramente più felice e meno ingannevole”.
Ultimo aggiornamento: 5 Ottobre, 09:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA