Nel calcio l'Italia ritrova credibilità.
Prandelli faccia il ct, non il politico

Martedì 3 Luglio 2012
Napolitano e Prandelli al Quirinale. Sullo sfondo la squadra (Ansa)
L’Italia s’ destata dal sogno. Tutto qui. gi stato importante arrivare a sognare. Il brusco risveglio era tra le possibilit; poteva accadere ed accaduto. Questo non autorizza a farne un dramma sportivo, ma nemmeno a montare in cattedra con dichiarazioni che hanno poco a che fare con lo sport.



Diciamo la verità, in finale l’Italia si è sgonfiata, è parsa parente lontanissima di quella che aveva dominato su Inghilterra e Germania. Uomini stanchi e qualcuno anche mezzo rotto, forse valeva la pena trovare il coraggio di cambiare. Uno meno bravo, ma in grado di stare in campo novanta minuti, avrebbe fatto sicuramente meglio di uno bravo ma con qualche guaio fisico. Non è un problema di gol subiti, in finale perdere di una rete o di quattro non cambia la sostanza; è che contro la Spagna non è mai stata in partita e dopo il 2-0 era già tutto finito.



Rimane il fatto di essere ritornati in alto almeno nel calcio, di essere di nuovo credibili, di aver mostrato che esiste un progetto al quale legarsi da qui ai mondiali in Brasile del 2014. Finalmente un progetto che tenga conto delle difficoltà del calcio italiano, delle debolezze legate agli scandali e alla corruzione, dell’esperienza di alcuni e della possibile crescita di altri. E che abbia in Cesare Prandelli l’uomo che può legare ambizioni, interessi e speranze.



Ci restano le illusioni e anche le belle prove viste, l’esultanza delle piazze stroncata purtroppo a metà nella notte della verità. Ci rimangono le certezze di un Pirlo superiore, di Buffon sempre all’altezza, le conferme di Cassano e De Rossi, la prospettiva di un Balotelli già più maturo di quando è partito. Ci resta anche la convinzione che per ora la Spagna, seppure non trascendentale, sia ancora superiore rispetto agli azzurri.



Ora bisogna trarre la lezione da quello che è accaduto. C’è la base per una squadra che possa guardare ai mondiali con buone prospettive. Molti di quelli visti in campo potranno esserci tra due anni e su qualcuno si potrà addirittura puntare (Balotelli, per fare un nome). Ma si dovrà trovare un sostituto all’altezza di Pirlo (cosa che adesso appare improbabile) e sperare in un Buffon che segua le orme di Zoff anche in longevità atletica. Prima l’Italia azzurra deve risolvere il suo rapporto con la Lega Calcio, trovare un’intesa con i grandi club che sono poi quelli che riforniscono la Nazionale. Prandelli deve essere messo nelle condizioni migliori per avere a disposizione tempo e giocatori.



La sfida europea è stato anche un modo per vederci allo specchio e per capire come ci vedono gli altri. Al di là dei luoghi comuni, degli stereotipi che accompagnano sempre gli italiani, abbiamo assistito a una retorica televisiva fuori posto. E a una Rai che aveva l’esclusiva ma che non è stata sempre all’altezza. Colpa anche della disabitudine a commentare i grandi eventi e un po’ del mancato ricambio a certi livelli: gli eredi televisivi di Martellini e Pizzul devono ancora nascere.



Ci siamo dipinti (senza bisogno di aiuti esterni) come un popolo in crisi grave che cercava il riscatto nel pallone e provava soddisfazione maggiore se batteva inglesi e tedeschi. Meno, evidentemente, se batteva gli spagnoli definiti più volte “miserabili latini”, nel senso di poveri, dalla Rai. Infatti, senza spirito di rivincita, agli spagnoli abbiamo offerto tarallucci e vino passito.



Certo abbiamo ritrovato l’unità che è valore importante anche se si tratta soltanto di pallone, si sono visti tanti tricolori che erano nel cassetto dai giorni dei festeggiamenti per i 150 anni. Ci sta anche questo nel nostro essere italiani. Il pallone non cancella la situazione difficile del Paese, non fa dimenticare che la disoccupazione giovanile non è mai stata così alta come in questi giorni. Il calcio è una cosa, la vita un’altra ancora. Tutto va preso nelle giuste dosi e nelle giuste proporzioni.



Due appunti per chiudere.

1) Si vedeva da lontano che Monti non era al suo posto in tribuna, forse è stato tifoso milanista quando era bambino, ora però è visibilmente a disagio davanti a una partita della Nazionale. Con una domanda: perché il Presidente del Consiglio non canta l’Inno nazionale?

2) Prandelli parla benissimo di calcio e della squadra azzurra, ma ha senso che il ct si lanci in concetti che non gli appartengono: tipo che questo è un Paese di vecchi e che lui ha portato novità. È vero, la Nazionale ci ha fatto sognare. Ma ogni cosa resta ristretta nell’ambito del pallone. Il resto lo lasci alla politica. Come dicono a Roma: “Cesare, nun t’allarga!”.



Abbiamo bisogno di ct che facciano i ct e di politici che facciano i politici. Di chi confonde i ruoli ne abbiamo le tasche piene.
Ultimo aggiornamento: 10:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA