Boeing 747, consegnato l'ultimo aereo: dai record di passeggeri, al volo che spaventò Mandela, storia del Jumbo Jet

La storia della Regina dei Cieli che volò per la prima volta nel 1969 rivoluzionando poi il trasporto aereo

Mercoledì 1 Febbraio 2023 di Paolo Ricci Bitti
Boeing 747, consegnato l'ultimo aereo: dai record di passeggeri, al volo che spaventò Mandela, storia del Jumbo Jet

«Mille, mille e uno, mille e due, mille e tre ...

Lei, mi scusi, per favore, sia gentile: riattacchi l'adesivo sulla fronte... mille e 85, mille e 86: ecco, sono finiti, ora comandante possiamo decollare».

Avete in mente l'hostess o lo steward che sulla macchinetta contapersone schiaccia la levetta per ogni passeggero che entra nella carlinga dell'aereo? Se vi sembrano tanti gli 853 passeggeri di un Airbus 380 e sempre tanti gli 823 profughi afghani imbarcati uno sull'altro su un cargo C-17 Globemaster III americano per fuggire da Kabul nel 2021 (record per un cargo militare) si può allora ricordare che queste cifre sono nettamente inferiori a quelle relative a un Jumbo che nel 1991 in Etiopia, in circostanze simili a quelle dell'Afghanistan e del ponte aereo, allestito anche dall'Italia, due anni fa, fece segnare il primato assoluto di passeggeri su un velivolo, 1.086 (+2) record destinato probabilmente a essere battuto - chissà quando - solo dalle astronavi di Elon Musk.

A ogni modo la storia del 747 Jumbo Jet, la Regina dei Cieli, che volò per la prima volta nel 1969 e di cui ieri è stato consegnato l'ultimo esemplare (il 1.574esimo) può cominciare anche da questa vicenda di salvezza.

Il record risale alla notte tra il 24 e il 25 maggio di 30 anni fa: su un Boeing 747 cargo dell'El Al, la compagnia di bandiera di Israele, le forze di sicurezza di Tel Aviv riuscirono a stipare 1.086 (più 2) profughi etiopi ebrei costretti ad abbandonare da un giorno all'altro il paese dopo la caduta del dittatore comunista Hailé Mariam Menghistu, il “Negus rosso”.

Perché “più 2”? Perché durante il volo di 4 ore tra la capitale etiope e quella israeliana nacquero due bambini (altra similitudine con il ponte aereo di questi giorni). In verità di neonati e di bambini di pochi anni al “Ben Gurion” ne sbarcarono assai più del previsto, perché le mamme allo scalo Bole (ex “Haile Selassie I”) di Addis Abeba li avevano nascosti sotto i vestiti in quelle ore di terrore che avevano preceduto la fuga dal paese. Una nazione stremata da anni di carestie anche “pilotate”, di brutali repressioni con almeno mezzo milione di vittime del regime militare e definitivamente al collasso dopo l'offensiva del “Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (Eprdf)”.

Per gli aerei C-17 o Jumbo trasportare tutti quei passeggeri in realtà non rappresenta un problema dal punto di vista tecnico: su questi giganti del cielo non c'è la targhetta come sugli ascensori, ma il Globemaster dell'Usaf può portare in volo oltre 74 tonnellate di carico, quasi 7 di più di quelle pesate complessivamente - a spanne – dagli 823 profughi imbarcati il 15 agosto. E il Jumbo Cargo dell'El Al, ora fuori servizio, arrivava a oltre 104 tonnellate. Per di più si è trattato di voli ben al di sotto dei limiti dell'autonomia (dalle 3 alle 4 ore) e quindi è stato possibile guadagnare chilogrammi non riempendo al massimo i serbatoi.

Il record del Jumbo El-Al regge il confronto anche con la capacità, anch'essa da primato, del prepensionato Airbus 380, l'aereo di linea più “capiente” di sempre, in grado di accogliere fino a 853 passeggeri se allestito interamente in classe Turistica, scenario in realtà rarissimo perché poco redditizio per le compagnie: 853 passeggeri con relativi bagagli che invece non avevano i profughi etiopi e afghani, persone inoltre certo meno pesanti del turista medio o del businessman che salta da un continente all'altro.

Il problema vero è che sul Jumbo Cargo dell'El Al e sul C-17, e in parte anche sui C130J Hercules dell'Aeronautica militare italiana impiegati nel 2021 per il ponte aereo da Kabul, per accogliere tutti quei profughi li si è dovuti far sistemare sul pavimento della carlinga, precariamenti assicurati a “binari” con le fettucce usate di solito per bloccare pallet di merce “carrellati” o veicoli: i piloti sapevano che i margini di sicurezza, in caso di manovre brusche - non da aereo di linea, insomma - erano assai limitati per i passeggeri che rischiavano di essere pericolosamente sballottati nella fusoliera. Ma per i profughi mille volte meglio questo rischio rispetto a quello di perdere la vita nel paese lasciato.

Le immagini del Jumbo El Al del 1991 sono ancora più impressionanti di quelle del Globemaster del 2021: per caricare quanti più profughi possibile vennero rimossi tutti i seggiolini. E a ogni passeggero venne appiccicato sulla fronte un bollino adesivo numerato, la carta d'imbarco più essenziale mai esistita.

L'operazione Salomone

E' che non c'era un minuto da perdere, l'operazione “Salomone” si rivelò ancora più imponente di quelle “Mosé” e “Giosué” (vedi il film Red Sea Diving del 2019), ugualmente allestite a partire dal 1980 da Tel Aviv per “estrarre” etiopi della comunità Beta Israel (“Casa di Israele”) dal paese sempre più nel caos. Volgeva al forzato declino la presenza in Etiopia degli ebrei giunti nel Corno d'Africa si ritiene dopo il 587 avanti Cristo, in fuga dalle truppe di Nabucodonosor che distrussero Gerusalemme. Altre ricerche spostano di mille anni più avanti l'arrivo degli ebrei, malsopportati dale maggioranze cristiane e islamiche.

Altre operazioni simili, con l'Etiopia in situazioni meno concitate, sono continuate fino a qualche anno fa, ma nessuna è paragonabile a quell'esodo fulmineo del 1991 che portò in Israele 14mila e 500 ebrei nel giro di poche ore.

Il governo israeliano aveva già trattato e già pagato (si dice 13 milioni di dollari parte anche in armi) Menghistu per poter fare espatriare gli ebrei etiopi, ma poi in maggio la situazione ad Addis Abeba precipitò con il dittatore, ormai privo del sostegno di ciò che restava dell'Urss, che riparò nello Zimbabwe.

Il governo israeliano, con il Mossad, aveva da tempo preparato il piano per la più massiccia evacuazione di sempre di ebrei etiopi, ma a quel punto bisognava trattare con i nuovi padroni della capitale, i rivoluzionari dell'Eprdf, evidentemente non soddisfatti delle storiche relazioni fra Israele, Haile Selassie e Menghistu e pronti a rappresaglie contro i Beta Israel.

Vennero concesse appena 36 ore. Gli israeliani se le fecero bastare. Come? Prelevando in un giorno e mezzo 14mila e 500 profughi, cifra che fa impallidire - in proporzione - i 100mila fra occidentali e afghani evacuati in più di due settimane da una flotta aerea colossale e internazionale rispetto a quella autarchica usata da Israele 40 anni fa. Nel ponte aereo del 24 e 25 giugno vennero schierati 34 fra C130 dell'aeronautica militare israeliana (Iaf) e velivoli civili con la livrea bianca e azzurra dell'El Al, compreso il Jumbo del record: tutto ciò che si poteva smontare dalle carlinghe venne rimosso, gli interni privi di seggiolini vennero foderati con fogli di plastica e poi, ad Addis Abeba, si passò al contrappello degli ebrei che nel frattempo erano stati chiamati in aeroporto con l'ordine di portare solo i documenti d'identità. Vietato ogni bagaglio, ad eccezione di pochi ombrelli rituali usati dai più anziani. Si arrivò a privare qualcuno delle scarpe pur di guadagnare chilogrammi preziosi.

Ogni gruppo di passeggeri, nell'oscurità della notte, veniva tenuto unito sulla pista con una fune e accompagnato agli aerei che avevano rullato fino a zone periferiche dello scalo attorno al quale riecheggiavano le raffiche di mitraglia dei rivoluzionari. I Jumbo avevano bisogno anche dell'ultimo metro di pista per decollare in quella situazione in cui non si poteva certo “tirare su” (cabrare) con decisione allo “stacco”. Su ogni aereo erano presenti anche due medici, perché molti Beta (Beth) Israel erano in condizioni precarie e in volo nacquero 5 bambini.

Tutto filò meravigliosamente liscio e la sera del 25 maggio lo Stato di Israele contava 14mila e 500 nuovi cittadini che allargavano la comunità degli ebrei etiopi attesa tuttavia a una non facile integrazione: restare in Etiopia, tuttavia, sarebbe risultato fatale. Fra i neo immigrati in quello scenario anche i genitori della cantante Eden Alene che con “Set Me Free” ha sfidato nel 2022  i Maneskin all'Eurovision Contest di Rotterdam. Non ci fosse stato il rinvio per il Covid, la rappresentante di Israele avrebbe cantato nel 2022 il brano “Feker libi” che ha il testo in ebraico, arabo e anche amarico, la lingua del paese etiope in cui affondano le radici delle sua famiglia.

Paolo Ricci Bitti

Le foto

Il volo del C-17 Usaf del 15 agosto 2021

Il volo del 747 Jumbo El Al del 25 maggio 1991

C-17 Globemaster

Il video del ponte aereo del 1991

 

Dalla bocciatura al successo

Jumbo Jet, Boeing 747, ovvero l'incredibile storia del più fenomenale successo nella storia dell'aviazione civile nato da una bocciatura per un bando militare vinto poi dalla Lockheed con il mastodontico C-5 Galaxy. La gobba sul Jumbo non è infatti nata per accogliere i facoltosi clienti della First Class, ma per ospitare la cabina di comando sopra alla bocca da squalo della carlinga che permetteva di caricare due container affiancati. 

Dal primo esemplare costruito nella fabbrica di Seattle (la più vasta del mondo) e decollato nel 1969 a pochi mesi dalla conquista della Luna  al 1.574esimo e ultimo esemplare consegnato ieri alla ditta di trasporti Atlas, il Jumbo ha infilato un record dopo l'altro divenendo protagonista di successi commerciali, incidenti, vicende politiche, operazioni legate alla conquista dello spazio, film drammatici e film esilaranti. Solo poche compagnie (fra queste la Lutfhansa) lo tengono ancora in esercizio per i passeggeri, ma le versioni cargo continuerenno comunque a volare per qualche decennio, sempre più raro se non rarissimo aereo civile con quattro motori turbofan che all'epoca rivoluzionarono strategie ed economie del trasporto aereo.

La fine di un era

È la fine di un'era: dopo l'uscita di produzione dell'Airbus A380, anche Boeing ha consegnato l'ultimo esemplare del suo leggendario 747, il gigante dei cieli che ha democratizzato il trasporto aereo e fatto sognare generazioni di persone. Migliaia di ex ed attuali impiegati, clienti e fornitori del gruppo Usa hanno assistito alla consegna dell'ultimo 'Jumbo Jet', un 747-8 cargo, alla compagnia Atlas Air nello stabilimento di Everett, nel nord-ovest degli Stati Uniti. Cessando di produrre l'aereo oltre cinquant'anni dopo il suo primo volo e la produzione di 1.574 esemplari, Boeing volta una importante pagina nella storia dell'aviazione civile. Grazie alle sue dimensioni, al raggio d'azione e alla sua efficacia, il 747 progettato da Joe Sutter «ha consentito alla classe media di avventurarsi fuori dall'Europa o dagli Stati Uniti con prezzi dei biglietti che diventavano più abbordabili, incluso durante la crisi petrolifera degli anni Settanta», osserva Michel Merluzeau, esperto aeronautico per lo studio AR, aggiungendo che il 747 ha «aperto il mondo». Dell'ultima serie, 747-8, lanciata nel 2005, Boeing ha venduto solo 48 esemplari in versione passeggeri e 107 per il trasporto merci. Nell'estate 2020, in piena pandemia, il gruppo Usa annunciò che avrebbe cessato la produzione nel 2022. «È un aereo unico per trasportare grossi pezzi industriali come motori di navi o trivelle nell'industria petrolifera», osserva Merluzeau. Aereo dei presidenti Usa dal 1990, il 747 continuerà ancora ad essere in servizio per i titolari della Casa Bianca ancora per qualche anno, con il celebre titolo di «Air Force One». 

Le versioni spaziali

I jumbo jet sono stati e sono usati per missioni legate allo spazio. La più nota è quel del 747 con timone di coda modificato per trasportare agganciato al tetto della carlinga lo Space Shuttle, il taxi per l'orbita terrestre che ha volato fino al 2011. Poi c'è la versione aereo-madre per piccoli missili lanciasetelliti come quello della Virgin Orbit. 

Il Jumbo che spaventò Nelson Mandela 

Terrorizzò, nella realtà, Nelson Mandela e, sul grande schermo, i milioni di spettatori del film Invictus di Clint Eastwood. Nel 2015 è morto a 67 anni Laurie Kay, il comandante della South African Airways che il 24 giugno 1995 spettinò con la paura i 48mila tifosi nello stadio Ellis Park di Johannesburg pochi minuti prima della finale della coppa del mondo di rugby, primo evento a riunire bianchi e neri nel Sud Africa che l’anno prima aveva eletto presidente Nelson Mandela.





Ex pilota della Raf, Laurie Key, nel massimo segreto si prese la responsabilità di pilotare un Jumbo jet, il mastodontico 747, a poco più di 100 metri di altezza sul prato dello stadio “sold out”. Un’impresa, avvenuta in mondovisione, che ha segnato la storia dell’aviazione contemporanea.


L’idea degli organizzatori del match era quella di choccare gli spettatori arrivando di sorpresa a ridosso dello stadio alla velocità minima e quindi, una volta sopra le tribune alte quasi 50metri, cabrare (tirare su il muso) dando tutta la potenza ai motori. Una manovra ad altissimo rischio: lo stadio sorge in un avvallamento di una zona della città densamente abitata. E la legge prescrive almeno 600 metri di quota per ogni sorvolo. Il più piccolo errore poteva costare una strage e Key effettuò diverse prove con un piccolo velivolo e con il simulatore di volo che pure, ci si accorse, non poteva essere programmato per manovre di quella temerarietà con un aereo di tali dimensioni e pesante 300 tonnellate.



Chi era allo stadio quel pomeriggio, compreso il piccolo gruppo di cronisti italiani, non lo dimenticherà mai: l’emozione era già al limite dopo l’arrivo del presidente Mandela che indossava la maglia verde oro della nazionale Springboks e tutta la nazione Arcobaleno si era fermata per la sfida agli arcirivali All Blacks di Jonah Lomu che finalmente vedeva tutto il paese unito come aveva architettato il presidente Madiba con una delle sue più importanti e azzardate mosse politiche: utilizzare il rugby, sport emblema della minoranza bianca (4,5 milioni di abitanti) fino ad allora al potere, per coinvolgere anche la maggioranza nera e coloured (45 milioni). Fino a quella Coppa del Mondo i neri tifavano contro la nazionale di rugby. E nemmeno lo stesso presidente Mandela era stato informato di quella folle idea del Jumbo dagli organizzatori della finale, anche perché fino all’ultimo secondo il volo poteva essere annullato per motivi meteorologici.



Prima il sibilo inimmaginabile e poi, senza avere il tempo di capire che cosa stesse accadendo, il boato terrificante dei quattro motori al massimo del gigante che passava poco sopra le tribune: l’effetto sorpresa fu totale e lo stadio tremò letteralmente fino alle fondamenta con le onde d’urto del rumore nel cielo terso di quel pomeriggio. Il panico da infarto passò in un istante quando tutti videro la scritta Good Luck Bokke (Buona fortuna antilopi, l’animale che dà il nome alla nazionale sudafricana) dipinta sulla “pancia” e sotto le ali del Jumbo, come raccontano Edwards Griffith nel magistrale libro One team one country. E anche John Carlin in Ama il tuo Amico, libro da cui nel 2008 è stato tratto Invictus da Clint Eastwood che ha aggiunto però per questo episodio (unica incongruenza con la realtà in quel memorabile film) un’assurda atmosfera da presunto attentato da 11 settembre che con un evento del 1995 non c’entra ovviamente nulla. Un espediente, quello di Eastwood, con cui si è tentato di replicare, sullo schermo, l’effetto sorpresa di quel volo che segnò la scala delle emozioni per quella finale che avrebbe poi incoronato (contro ogni pronistico) il Sud Africa campione del mondo.

Una volta lasciata la compagnia di bandiera sudafricana, Laurie Key, nato nel 1945 a Joannesburgh, era entrato a far parte del team dei piloti di elicottero che proteggono i rinoceronti del Kruger Park dai cacciatori di frodo che uccidono i pachidermi solo per strappare loro il corno. Key è morto per un infarto nella sede delle squadre antibracconieri.

 

 

Ultimo aggiornamento: 22 Maggio, 09:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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