«Vendetta» recita un poster attaccato nel segnale stradale che indica l’ingresso a Eli, insediamento israeliano in Cisgiordania a 30 chilometri a nord di Ramallah.
La rivoluzione
Qui ogni anno si diplomano 100 giovani, tutti di estrazione sionista, metà dei quali entrano a far parte del corpo degli ufficiali. La scuola guida la rivoluzione religiosa che l’esercito israeliano sta attraversando ed è considerata un trampolino di lancio per i giovani coloni ebrei che vogliono scalare le vette dell’establishment militare. Sostenuta dal governo con stanziamenti da 3,5 milioni di euro l’anno, annovera tra gli ex studenti il generale di brigata Avi Bluth, comandante della divisione Giudea-Samaria, i capi delle brigate Givati ed Efraim nonché consiglieri di Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze e ministro “aggiunto” alla Difesa con poteri speciali nella gestione dei Territori Palestinesi Occupati. Qui però di occupazione non si parla proprio, anzi. Secondo Svietka «l’espressione West Bank non ha significato. C’è una mappa e c’è un fiume, il Giordano, a delimitare cosa è Israele. Può non piacere, ma è geografia». Il sindaco Ariel El-Maliach concorda: «Il nostro non è un insediamento perché questo equivarrebbe a dire che ci troviamo in un luogo che non ci appartiene. Siamo in Giudea e Samaria e prima della costruzione del Primo Tempio di Gerusalemme, il tabernacolo sorgeva qui a pochi passi, a Shilo. È la Torah, ovvero Dio a dirci che ci troviamo esattamente dove siamo destinati a stare».
La missione
Secondo la visione messianica dei moderni ultraortodossi di Eli, il popolo ebraico «non è scelto perché migliore, ma in quanto ha una missione diversa dagli altri, sintetizzabile nel principio Tiqqun Olam, ovvero riparare il mondo». La convinzione è che Israele sia eletto da Dio per «portare luce dove c’è buio». Non solo. Anche quello che qui viene descritto come il “mini-olocausto” del 7 ottobre scorso avrebbe una spiegazione religiosa. Secondo Edna, la bibliotecaria, «non è un caso che quando ci siamo divisi internamente, perdendoci in sciocchezze come la politica e la giustizia, abbiamo dimenticato la nostra missione. Il male è arrivato perché la nostra moralità si è corrotta. Per questo adesso, anche se i miei figli sono a combattere, sono quasi sollevata che sia arrivata la guerra. Non sentivo tutta questa unità della nazione ebraica da diverso tempo». Di più.
La guerra
Secondo Ariel, questa guerra sarà l’occasione per Israele «che è Occidente all’ennesima potenza» di dare risposte al mondo intero su come si combatte il terrore, «al pari di come faranno gli Stati Uniti con l’Iran». All’uscita, un contractor della sicurezza palestinese staziona le alture. Alla domanda su come sia possibile che vi siano arabi dediti a mantenere la sicurezza del posto, Edna risponde «Vogliono continuare a lavorare per noi e fino a due settimane fa 300 di loro ci aiutavano con la costruzione delle prossime unità abitative. Costano meno. Adesso però li abbiamo cacciati tutti». Guardando Eli allontanarsi è difficile avere dubbi sul futuro delle tensioni di questa terra. «Questo è solo l’inizio. Abbiamo grandi piani per la nostra espansione» è stato il saluto di Svietka.