L’Europa fa (mezzo) dietrofront per placare la rabbia degli agricoltori. Con i trattori che premono alle porte del quartiere Ue di Bruxelles, blindato in occasione del summit dei leader dei Ventisette che si apre questa mattina, la Commissione tende una mano ai coltivatori diretti che protestano da settimane in tutto il continente. Lo fa mettendo sul tavolo, da subito, una doppietta di misure: più terre arabili con l’estensione anche al 2024 dello stop all’obbligo che impone di tenere a riposo il 4% dei terreni, e più tutele per i produttori dal rischio concorrenza a basso prezzo rappresentata dalle importazioni agricole in arrivo dall’Ucraina.
Confagricoltura, a Bruxelles per portare le istanze degli agricoltori nelle sedi competenti
Cominciamo dal nuovo stop al maggese, uno dei nove vincoli ambientali previsti dalla Pac, la Politica agricola comune Ue, per contribuire alla sostenibilità del settore. Dal 2023, infatti, per ricevere le generose sovvenzioni Ue, le aziende europee del comparto primario con più di dieci ettari di terreno coltivabile devono destinare il 4% delle loro terre alla tutela della biodiversità e della natura, ad esempio piantando siepi e alberi o lasciando i prati incolti.
LE CONCESSIONI
Dopo una prima sospensione del requisito l’anno scorso, in risposta alle conseguenze della guerra russa in Ucraina, Bruxelles si dice adesso disposta a prolungare la pausa per tutto quest’anno, e con effetto retroattivo da gennaio. Ma con dei condizioni precise e paletti fermi, che dovranno essere prima approvati dai governi dei Ventisette: potranno avvalersene soltanto, infatti, gli agricoltori che sul 7% dei loro seminativi coltivano leguminose che, come lenticchie o piselli, aiutano a convertire l’azoto presente nell’atmosfera, oppure piante a crescita rapida, da foraggio o da orto, purché senza l’impiego di pesticidi. Una serie di cavilli che non piacciono ai trattori. Per la Cia-Agricoltori italiani, si tratta appena di «un contentino»; «una proposta debole e insufficiente». Le piazze del malcontento, infatti, non vogliono deroghe a tempo, ma lo stralcio tout court dell’obbligo di lasciare incolto il 4% dei terreni.
C’è, poi, il capitolo Ucraina, uno dei più spinosi per i coltivatori dell’Europa orientale - dalla Polonia alla Bulgaria, passando per Romania e Slovacchia -, i cui governi già due anni fa si erano opposti al maggiore afflusso di cereali e altri beni agricoli dal Paese in guerra confinante. Ieri l’esecutivo Ue ha disposto la rimozione per il terzo anno consecutivo, fino al giugno 2025, dei dazi all’importazione per i prodotti in arrivo da Kiev, che per diventare definitivo dovrà essere votato dal Parlamento Ue e dal Consiglio. Alla misura di favore per l’economia ucraina si affianca, tuttavia, per la prima volta un meccanismo di salvaguardia rafforzato che consentirà di intervenire rapidamente in caso di gravi perturbazioni a danno di un mercato nazionale o del mercato Ue. E per le merci più sensibili, come pollame, uova e zucchero, è previsto un freno di emergenza per evitare che si superino i volumi medi di importazione dei due anni appena trascorsi. Ciò significa che se l’import di questi prodotti dovessero superare tali soglie, le tariffe tornerebbero ad applicarsi.