Pensione a 61 anni con l'Ape sociale agevolata per le donne: a chi spetta, requisiti e come funziona l'ipotesi di riforma del governo

Il Mef: «Con il rialzo dei tassi avremo 14 miliardi in meno»

Martedì 19 Settembre 2023
Pensione a 61 anni con l'Ape sociale agevolata per le donne, come funziona l'ipotesi di modifica del governo

Tra le misure della prossima manovra avanza l’ipotesi di uno scivolo pensionistico a 61 anni per le donne. Ma intanto l’ennesimo rialzo dei tassi di interesse deciso dalla Bce, il decimo consecutivo, ha complicato ancora di più il cammino del provvedimento. Ma andiamo con ordine. Tra le ipotesi per la legge di Bilancio trova sempre più conferme l’idea di introdurre l’Ape sociale agevolata per le donne.

Ci sarebbe la possibilità di ricevere l’indennità di accompagnamento verso la pensione a partire dai 61/62 anni invece dei 63 previsti attualmente. Come per l’ultima formulazione di Opzione donna varrebbe per le donne con una situazione di disagio, per quelle che sono state licenziate, e per le lavoratrici con invalidità almeno al 74%. Rientrerebbero nella norma anche le “care giver” e quelle impegnate in lavori gravosi. La misura potrebbe essere alternativa a Opzione donna o essere introdotta in aggiunta a questa. 

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IL PASSAGGIO
La platea interessata sarebbe sostanzialmente la stessa, ma nel caso di “Ape Donna” non si sarebbe costrette ad optare per il metodo di calcolo completamente contributivo. Si andrebbe in pensione dopo (adesso con Opzione donna avendo due figli si può uscire con 58 anni oltre a un anno di finestra mobile se dipendenti) e si avrebbe un’indennità. Sarebbe richiesto un numero di anni di contributi nettamente inferiore (tra 28 e 30 invece di 35) ma non si andrebbe esattamente in pensione, si avrebbe solo una misura di accompagnamento alla pensione. L’indennità erogata dall’Inps per 12 mesi l’anno (non 13 come la pensione) è pari all’importo della rata mensile della pensione calcolata al momento dell’accesso alla misura. Il sussidio erogato fino all’accesso alla pensione di vecchiaia comunque non può superare i 1.500 euro lordi al mese, non rivalutabili. Ma sulla manovra pesa la stretta di Francoforte che avrà un impatto di altri 14 miliardi di euro in termini di maggiori interessi sul debito pubblico. Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, ha ricordato a se stesso e alla maggioranza di governo, che il sentiero della legge di Bilancio si sta facendo sempre più stretto. «Se i tassi fossero rimasti quelli dell’anno scorso, o di due anni fa», ha spiegato ieri durante un convegno sulla semplificazione, ci sarebbero «14-15 miliardi in più da mettere sul fisco, ma non ci sono più e si farà più fatica». Se l’obiettivo della politica monetaria, ha fatto notare Giorgetti, era quello di rallentare la crescita, «devo dire», ha chiosato, «che lo ha brillantemente raggiunto». L’economia rallenta, ma l’inflazione resta ancora lontana dal target del 2 per cento. Ma la vera preoccupazione del ministro, è un’altra. Riguarda i segnali che l’Italia darà ai mercati sul debito pubblico. Nelle prime bozze della Nadef che iniziano a circolare nel ministero, almeno nel cosiddetto “quadro tendenziale”, quello cioè che non tiene conto delle misure del governo per il prossimo anno, il debito ha smesso di ridursi. Anzi, la curva ha invertito la tendenza. Il debito che torna a crescere è un messaggio che non può essere trasmesso ai mercati. 

LA CURVA
La curva, insomma, va tenuta sotto controllo. «A me», ha spiegato Giorgetti, «non è che fa paura tanto la valutazione che fa la Commissione europea, a me fanno paura le valutazioni che fanno i mercati quando comprano il debito pubblico». Il ministro non ricorre a perifrasi: «Io tutte le mattine mi sveglio e ho un problema: vendo debito pubblico e devo essere così accattivante per convincere la gente ad avere fiducia». La conseguenza è che nella Nadef (che sarà approvata la settimana prossima) sarà necessario «mettere un numero che sia ragionevole, che dimostri la volontà del Paese di tornare a una politica fiscale prudente e che sia compatibile con il nostro livello di debito». Non è un mistero che Giorgetti vorrebbe tenere il deficit del prossimo anno sotto il 4%, lasciandolo salire solo di un paio di decimali rispetto al 3,7% indicato nel Def di aprile. Ma è altrettanto vero che le pressioni che arrivano dalla maggioranza di governo per inserire misure in manovra finanziate a deficit sono elevate. In realtà Giorgetti ha lanciato anche un altro allarme. Che il debito possa essere usato come un’arma geopolitica. «Il debito», ha spiegato, «può diventare anche un’arma, bisogna chiedersi chi ha in mano tutto questo debito pubblico in giro per il mondo, anche quello degli Stati Uniti». Ulteriore segnale che l’attenzione massima del Tesoro è a quanto accadrà nei prossimi mesi sul debito e sui mercati finanziari. 

In questo quadro si inseriscono anche i negoziati per il nuovo Patto di Stabilità. Giorgetti ha ribadito le richieste dell’Italia di escludere dal conteggio gli investimenti a debito del Pnrr e quelli sulle spese della difesa. 

IL QUADRO
«Per un paese come l’Italia che», ha ricordato Giorgetti, «ha 80 miliardi al minimo, purtroppo in continuo aumento, di superbonus da pagare sul debito nei prossimi 3-4 anni, e spese importantissime di investimento, finanziate con i prestiti del Next generation Eu, che vanno sul bilancio e sono spese a tutti gli effetti, è matematicamente impossibile rispettare quella regola che in qualche modo si vorrebbe introdurre» in Europa. Giorgetti poi, è intervenuto anche sul tema della tassa sugli extraprofitti per le banche. Il ministro dell’Economia ha ricordato agli «amici banchieri» quando durante il Covid lo Stato è intervenuto con miliardi di garanzie sui prestiti concessi dal sistema bancario. «Il sistema pubblico e privato», ha detto, «deve fare squadra perché lo Stato c’è nei momenti di crisi e il settore privato ci deve essere quando lo Stato ne ha bisogno».
 

Ultimo aggiornamento: 20 Settembre, 00:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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