La situazione non migliora.
L’uragano del covid ha certo avuto il suo peso. Come le difficoltà economiche che si è trascinato non hanno certo aiutato. Tutte cose improvvise e imprevedibili alle quali non è facile porre rimedio. In più è esplosa la transizione energetica che ha spinto in maniera vigorosa la mobilità sostenibile e le auto elettrificate con un’offerta ancora non in grado di soddisfare tutte le richieste della domanda. A questa frenata fisiologica che ci sarebbe stata comunque (lo scenario è più o meno simile in tutti i paesi d’Europa) ci abbiamo messo del nostro ideando una formula tutta tricolore: gli incentivi a singhiozzo, gli ecobonus stop&go, gli aiuti come tira il vento. Chiamateli come volete, ma non si era mai vista una cosa del genere. Con i contributi governativi erogati dall’esecutivo mensilmente attraverso i provvedimenti più disparati e alcune volte finiti bruciati solo in poche ore.
Siamo l’unica nazione della Ue a muoverci così a tentoni e i risultati si vedono. Non serve essere economisti raffinati per intuire che, da un atteggiamento del genere, il mercato esce “scekerato”. Basta andare in un supermarket rionale per capire che, se a breve distanza di tempo vengono proposti prodotti a prezzi tanto diversi, la gente aspetta il momento propizio per fare il blitz. È quello che è accaduto al mercato italiano dell’auto. Ci sono addirittura modelli che costano più del doppio di quando c’erano gli incentivi. Perché il pubblico dovrebbe comprare a queste condizioni? Chiaro che aspetta, anche perché dal Parlamento escono voci quotidiane di un’imminente ripresa dei bonus. Un metodo un po’ folle che mette alle corde l’affaticata catena di distribuzione. Ora le associazioni del settore, dopo aver avuta infinita pazienza, iniziano ad alzare i toni e chiedono il minimo sindacale per salvare il comparto in questa complessa fase di transizione. In una parola: serve un piano strutturale che duri almeno qualche anno.