11 settembre 20 anni fa: e la politica cede il passo alle big tech

Domenica 5 Settembre 2021 di Osvaldo De Paolini
11 settembre 20 anni fa: la politica cede il passo alle big tech

Sei giorni dopo gli attacchi il dolore è ancora folle, ma l'America prova a ricominciare a vivere. Riaprono i negozi, gli uffici, gli hotel. Riapre la Borsa dopo cinque giorni di pausa, lo stop più lungo dai tempi della Grande Guerra. È la prima seduta dal crollo delle Torri. Sono le 9.30 del 17 settembre 2001. A Wall Street, dopo due minuti di silenzio in onore delle tremila vittime, si levano le note di God Bless America. Sono presenti il sindaco Rudolph Giuliani, il segretario al Tesoro Paul O'Neill, la senatrice Hillary Clinton. Le televisioni di tutto il mondo sono su di loro. La tensione per ciò che accadrà è altissima. Si teme che il mercato reagisca violentemente con perdite ingenti. Nonostante le massicce difese erette dalla finanza istituzionale, le paure vengono confermate e la seduta entra nella storia.
Il bilancio finale rappresenta la più grande perdita in termini di punti (684) che l'indice Dow Jones abbia mai registrato in una seduta, anche se ciò equivale solo al 7% (a una settimana la perdita toccherà però il 30%): molto meno del 22% del Black Monday nell'ottobre 1987, ma non c'è confronto con il clima di angoscia che accompagnerà il mondo intero per molte settimane, di fronte alla crisi nella quale precipitano settori cruciali per l'economia come i trasporti aerei, il turismo, le assicurazioni.

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IL TRACOLLO
E tuttavia, come sempre accade anche dopo il più violento scossone, di lì a qualche mese Wall Street tornerà a guidare le Borse mondiali, con le sue impennate e i nuovi record, sostenuta da un'orgogliosa Corporate America macina-profitti che proprio in quegli anni vive gli albori della web economy. Nemmeno il tracollo di fine decennio, con l'esplosione della bolla subprime e il disastroso fallimento di Lehman Brothers, la piegherà se non temporaneamente, aiutata anche dal fatto di aver scaricato sul resto del mondo gli effetti nefasti di una gestione finanziaria mai tanto disinvolta.
Qualcosa di profondo quell'11 settembre però ha cambiato, non solo nelle sicurezze degli americani sul ruolo di guardiani del mondo; anche l'economia mondiale ha cambiato corso, puntando sempre più su una produzione sostenibile e green, nell'ambito di un processo di globalizzazione che solo la pandemia oggi ci costringe a ripensare. Per non dire della straordinaria accelerazione delle nuove tecnologie, l'irrompere dell'economia digitale, la crescita impetuosa dei nuovi padroni del commercio globale (le big tech) e una Cina sempre più ansiosa di affermazione nello scacchiere mondiale, che insieme hanno favorito smottamenti tali nelle ideologie e nella politica, da far pensare che i vecchi paradigmi di riferimento sono in via di superamento.
Al punto che viene da chiedersi se oggi, di fronte a un possibile nuovo 11 settembre, i mercati e le economie reagirebbero allo stesso modo.

Allora fu l'insicurezza a prevalere, nell'idea che nemmeno il governo più potente al mondo era in grado di tutelare i propri cittadini all'interno delle loro case, di fronte a un nemico invisibile e senza regole. Ma ciò che è accaduto in queste settimane in seguito alla catastrofica ritirata americana dall'Afghanistan, induce qualche riflessione.

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Intendiamoci, niente di paragonabile alle ore di angoscia che seguirono gli attacchi alle Torri, ma il fatto che di fronte al fallimento di Washington nella partita nata per riscattare la ferita dell'11 settembre, le Borse non abbiano fatto una piega, anzi abbiano continuato a macinare record (soprattutto le big tech) nonostante previsioni catastrofiche per l'impatto sul piano geopolitico, conferma l'idea che i mercati e le economie oggi si orientano verso altri fari. O comunque, ciò che emerge è una profonda differenza di vedute fra la politica in senso lato e il mondo della finanza. Si fa perciò strada l'idea che questo decoupling poggi su un nuovo modello di analisi, in cui conta soprattutto l'economia digitale, contano le battaglie contro gli hacker. E conta il ruolo di manager illuminati - come Elon Musk, Jeff Bezos, Richard Branson - che si sostituiscono alla politica sul piano della responsabilità sociale. Del resto, è un fatto che le big tech sempre più sono vissute come Stati negli Stati, per il peso economico-finanziario e la capacità di lobbying, per l'impatto disruptive che hanno sui comparti più diversi, per l'influenza sulla formazione degli orientamenti politici, per i cambiamenti continui che inducono negli stili di vita e nell'organizzazione sociale.

 


LA CRESCITA
Agli anni dell'ammirazione per la loro capacità innovativa ora fanno seguito gli anni del sospetto sul loro reale ruolo nel ribaltamento degli equilibri tra i due blocchi che ambiscono al governo del mondo, Cina e Stati Uniti. D'altro canto, la loro funzione sociale ormai essenziale si è rivelata proprio durante i primi lockdown, pressoché impossibili da affrontare senza i servizi da loro offerti. Un ruolo essenziale che si è rapidamente tradotto in una crescita esponenziale sia dei loro ricavi sia del loro valore di Borsa sia del loro potere. Un'idea del peso acquisito negli ultimi mesi? Il valore delle prime cinque americane (9.530 miliardi di dollari tra Apple, Microsoft, Amazon, Google e Facebook) e delle prime due cinesi (1.820 miliardi tra Alibaba e Tencent) oggi equivale a più di metà del Pil europeo. Non è un caso se Pechino sta introducendo forti limitazioni alla crescita di Alibaba e Tencent, dopo che il presidente Xi Jinping ha dichiarato di vederle non più come importanti strumenti per lo sviluppo dell'economia cinese, al servizio del partito comunista, ma come potenziali centri di potere concorrenti. Le Borse sbagliano a farsi orientare più dai loro successi che dalle politiche dei governi? Forse. Ma una riflessione vale la pena farla.
 

Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 11:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA