Libri: il caso editoriale “Tra la notte e il cuore”, romanzo primo sul razzismo di Julie Kibler

Sabato 18 Maggio 2013 di Renato Minore
La scrittrice Julie Kibler
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TORINO - Un’adolescente nel 1930 si innamora di un giovane uomo di colore, ma il loro rapporto innesca una catena straziante di eventi che arrivano fino ad oggi, a una nipote che casualmente s’imbatte nel segreto sepolto dentro la propria storia familiare. E che, spinta dalla curiosit trasformata in ansia di conoscenza, inizia un viaggio a ritroso nel tempo e sui luoghi dove ancora si conservano tracce del potere duraturo di quel perduto amore proibito. Il viaggio porta il lettore in climi meridionali. Ma il cuore della storia si svolge realmente nel cuore del paese, n a nord, n a sud, n ad ovest, in un microcosmo degli Stati Uniti. Una storia semplice e accattivante di segreti e silenzi, che alterna la scena del ricordo al presente, quella di Tra la notte e il cuore, primo fortunatissimo romanzo di Julie Kibler. Ora arriva anche in Italia, pubblicato da Garzanti come un autentico caso editoriale, lanciato e subito diventato la star contesissima della Fiera di Londra dello scorso anno. La Kibler, esordiente texana oltraquarantenne, ospite al Salone torinese, difende la qualit ”femminile” della sua storia che (dice) racconta di un amore impossibile, di un’amicizia senza tempo e di come la vita a volte ci pu regalare una seconda occasione. Ed orgogliosa del fatto che, pescando con libert nella sua genealogia familiare, abbia potuto far luce su una delle pagine pi buie e controverse della Storia.



Ecco, il razzismo. In "Tra la notte e il cuore" i residenti di Shalerville, con un cartello, avvertono gli afro-americani che debbono lasciare la città prima del tramonto. Sul suo sito, ho letto che la città natale di suo padre aveva la stessa abitudine.

«Questi cartelli, un’autentica offesa alla vita comunitaria, c’erano davvero, anche se io non lo sapevo. Me lo ha confermato mio padre quando abbiamo parlato dell’ambientazione del romanzo che è nato anche nella cooperazione familiare. Era il momento in cui volevo allargare la ricerca alle fonti orali a disposizione per essere più fedele possibile. Quei cartelli c’erano in molte città e hanno continuato ad esserci fino agli anni ”60».



È stato difficile scrivere di un momento così complesso della storia americana che coincide anche con la sua memoria familiare?


«No, in modo particolare. In fondo quelle esperienze mi sono giunte attraverso testimonianze varie, non le ho vissute in prima persona. Non è stato difficile perché non c’era memoria diretta, ma mi ha messo ugualmente a disagio, e per mio padre è stato fonte di imbarazzo. L’America vorrebbe dimenticare. Oggi quei cartelli non ci sono più, ma ci sono tante cittadine abitate solo da bianchi, si sente ancora questa discriminazione».



Gli Stati Uniti sono oggi sulla carta una «società post-razziale», ma Isabelle e Dorrie viaggiano in mezzo a riflessi, sussurri, meschinità, pettegolezzi che sembrano incrinare l'immagine di quella società e far affiorare antichi fantasmi. Pensa che ci sia ancora molto da fare per superarli?

«Farei una distinzione: in ambiente urbano dove vivono tante persone, quelle esperienze al negativo sono scomparse o quasi. Più ci si allontana dalla città più comuni diventano quelle esperienze all’apparenza dimenticate. Spesso c’è la discriminazione sui posti di lavoro, le leggi si possono aggirare, c’è ancora molto da fare. Quelli voluti da Obama non possono essere cambiamenti repentini, la sua elezione ha anche portato una maggiore tensione: se le cose vanno male, danno la colpa a lui, i razzisti sarebbero incentivati. Comunque è un miracolo che sia stato eletto, un segnale davvero forte».



Il romanzo ha una forte base autobiografica. Come pensa che l'avrebbe giudicato la protagonista occulta, sua nonna, se avesse potuto leggerlo?

«Tenga presente che l’invenzione è massima. Ho cercato di immaginare i suoi sentimenti, le sue reazioni, i suoi desideri. Non posso che augurarmi che l’avrebbe gradito e ne sarebbe stata orgogliosa. In fondo con la scrittura, sia pure attraverso una rielaborazione molto libera, si scava in profondità, si conoscono storie sconosciute o rimosse, si vive in una sensazione di affettuosità e di connnivenza molto più forte».



Ogni libro insegna qualcosa di nuovo su se stessi e sul processo di scrittura. A lei cosa ha insegnato "Tra la notte e il cuore".

«Ho imparato che ogni libro si scrive in maniera diversa. Prendo il caso del mio nuovo romanzo: ambientato a Fort Worth ha forma di un altro racconto nostalgico che parla di donne diverse ma anche molto simili. Credevo di aver tutti gli strumenti per sapere come andava scritto, invece l’avventura della nuova scoperta è sempre in agguato. Il processo è diverso. Più si scrive di qualcosa che ci appassiona più il libro si affina».



C'è qualche scrittore o scrittrice italiana che ama in modo particolare?

«Umberto Eco e soprattutto ”Il nome della rosa”. Non solo per la storia, ma gli elementi storici medioevali, per l’ambientazione. Ammiro la qualità della documentazione sciolta nell’intrigo storico appassionante».



Qual è la sua definizione di narrativa femminile, e come si ritrova con il suo libro in questa classificazione?

«Se dovessi semplificare al massimo, direi che il discrimine sono non la trama e l’azione, ma l’approfondimento continuo sui rapporti interpersonali. Sono l’occhio acuto con cui sono analizzati, l’interazione dei personaggi, il perché i personaggi fanno determinati cose».
Ultimo aggiornamento: 20 Maggio, 19:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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