Jerry Calà​: «Che paura per l’infarto, ma per me la vita resta un divertimento. Droghe? La cocaina l'ho provata»

Parla il popolare showman: «A marzo è stata più brutta dell’incidente in auto»

Domenica 17 Dicembre 2023 di Andrea Scarpa
Jerry Calà : «Droghe? La cocaina l’ho provata. L’errore fatale? Mollare i cinepanettoni»

Al settimo film da regista lo showman veronese – nato però a Catania nel 1951, vero nome Calogero, moglie e figlio di 20 anni, Johnny – ha alzato il tiro. L’ha interpretato, ovviamente, ma ha scelto di finire anche nel titolo: Chi ha rapito Jerry Calà?, dal 24 dicembre online sulle maggiori piattaforme - Prime Video, Apple Tv, iTunes etc. - storia di tre improbabili criminali che a Napoli pensano di fare il colpo grosso con il personaggio dello spettacolo, non sapendo che le cose non stanno esattamente come le avevano immaginate.

Per pagare il riscatto non ci sarà la fila, tutt’altro. Nel cast, nei loro panni, anche Mara Venier («Tenetevelo, con tutto quello che mi ha fatto passare...») e Massimo Boldi («Mi ha ciulato la donna...»), che si aggiungono fra i tanti a Sergio Assisi, Maurizio Casagrande e Umberto Smaila. 

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Nessuno paga il riscatto per lei: che fa, si autoflagella?
«Ho tirato fuori tutta la mia autoironia. Mi diverte».
Sua moglie, nella realtà, lo pagherebbe?
«Buona domanda. Sì, o almeno lo spero».
E nella realtà ha mai fregato la donna a un amico, come le dice Boldi nel film? 
«No, per carità. Giuro».
Il 18 marzo, a Napoli, durante la lavorazione di questo film ha avuto un infarto: come se la passa adesso?
«Bene. Sono stato fortunato. Mi hanno soccorso benissimo con uno stent e ora sto giocando il secondo tempo della mia vita». 
Cosa è cambiato?
«Ho capito che forse è il caso di rallentare un po’. Godersi la vita ed evitare lo stress».
Dopo, cosa l’ha sorpresa di più?
«Constatare quanta gente mi vuole bene. Non me lo aspettavo. Forse ho seminato meglio di quanto pensassi». 
Ha avuto più paura con l’infarto o con l’incidente d’auto del 1994, quando finì nell’Adige, si ruppe i due femori e si lesionò l’arteria femorale?
«Tanti anni fa non ebbi il tempo di spaventarmi: mi addormentai alla guida e mi risvegliai in acqua mezzo congelato, cosa che in qualche modo mi salvò la vita perché la bassa temperatura rallentò l’emorragia. Stavolta ero cosciente e mi sono reso conto di tutto. E mi sono proprio spaventato».
Ha avuto un’ottima carriera: poteva avere di più?
«Non mi lamento, ma forse nel cinema qualche occasione in più avrebbero potuto darmela... 
Perché dopo il successo di critica a Berlino, nel 1993, con “Diario di un vizio” di Marco Ferreri, nessun regista “serio” la chiamò?
«Non lo so. Certi ambienti mi hanno sempre visto come quello della commedia degli Anni Ottanta e basta».
Da questo punto di vista il cinema tanto le ha dato e tanto le ha tolto?
«No, assolutamente. Sono grato al destino e a tutti quelli che mi hanno permesso di fare quei film. Sabato sera, a Cortina, la festa per i 40 anni di Vacanze di Natale è stata bellissima. Ha segnato un’epoca, quel film».
Questo guardarsi sempre indietro non sta diventando un’ossessione?
«Forse. Per me vale quello che cantava Pierangelo Bertoli nella sua a Muso duro e quindi mi sento “con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”».
In passato hai detto che se fosse stato “in odore di sinistra” avrebbe fatto di più: conferma?
«Diciamo che io uso sempre lo stesso profumo».
Da giovane era di sinistra, poi simpatizzò per Craxi, e in seguito per Berlusconi: che ne pensa del premier Meloni?
«Non le rispondo. Vado ancora a votare, ma per chi sono solo fatti miei, come si diceva in uno spot di tanti anni fa (era la pubblicità di un amaro con Raz Degan, anno 1995, ndr)».
È vero che è testardo, irascibile, pignolo?
«Sì, un rompipalle. Ma solo quando lavoro, perché mi piace fare le cose perbene. So chiedere scusa, per fortuna».
La cosa che le è venuta meglio qual è?
«Mio figlio Johnny. Mi regala tante soddisfazioni. Vuole fare il regista e lo sceneggiatore e studia alla Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano».
Da ragazzino qual era il suo chiodo fisso?
«Il divertimento. Fare un lavoro che mi piacesse. Ringrazio Dio per avercela fatta».
Da questo punto di vista che differenza c’era fra Milano e Roma negli Anni Ottanta?
«In quel periodo a Milano frequentavo il Derby con i Gatti, e la città era meraviglioso: tutti cercavano di realizzare i propri sogni. Ricordo le risate con Cochi e Renato, Paolo Villaggio, Enzo Jannacci e Dario Fo. Per me quella è stata l’università dello spettacolo. E dopo aver scolato la Milano da bere, lavorando di più nel cinema, mi sono bevuto mezza Roma». 
E com’era Roma?
«Un gioiello. Ero nottambulo e non mi sono risparmiato. In città ogni giorno c’erano feste favolose. La gente aveva voglia di stare insieme e divertirsi. Io spesso mi svegliavo nella stessa casa dove la sera prima avevo fatto bisboccia, e nel letto mi ritrovavo con donne di cui nemmeno conoscevo il nome, anche se eravamo stati insieme». 
Mara Venier ha detto che lei era così «birichino» che la tradì anche alla festa di nozze: quante donne ha avuto? 
«Tante. Non ne ho idea».
Droghe?
«La coca l’ho provata, all’epoca un tiro lo facevano tutti, ma l’ho mollata subito. In compenso sbevazzavo».
“Guarda che rischi di perdere la testa”: in quegli anni qualcuno gliel’ha mai detto?
«Onestamente, no. Il successo è arrivato dopo dieci anni di gavetta, ero più o meno preparato. A impazzire sono quei poveracci che partecipano ai reality, diventano famosi all’improvviso, poi tornano nell’anonimato. Detto questo, devo ringraziare Mara che mi ha sempre tenuto con i piedi per terra».
Nel 2010 per il suo film “Pipì Room” chiamò a recitare l’attrice turca Serra Yilmaz, presenza fissa nei film di Ozpetek. Alla sua agenzia le dissero che non avrebbe mai fatto un film con lei, poi la chiamò direttamente e Ylmaz subito accettò. Le è successo spesso?
«Solo quella volta. Ma è tipico di quelli che credono di essere loro a fare il cinema importante senza calcolare che da sempre è grazie a noi comici che ci sono i soldi per i film da festival».
In questo nuovo film c’è una battutaccia su Bellocchio: perché proprio lui?
«A me e a Boldi è venuta spontanea, così, per prendere in giro un certo cinema serioso».
L’errore della vita qual è stato?
«Essere sceso dal carro dei cinepanettonidi De Laurentiis e aver rinunciato a un sacco di soldi. Ma dopo aver mollato i Gatti di Vicolo Miracoli non volevo far parte di un altro gruppo con De Sica, Greggio e Boldi». 
È vero cha adesso ha una specie di decalogo personale sulle scelte da fare?
«Sì. Non faccio l’ospite in tv né l’opionista, non vado ai talk show, e non accetto ruoli in film - a meno che non siano d’autore - in cui io non sia protagonista o coprotagonista».
Perché non ha fatto una serie?
«Non lo so. Ho anche fatto delle proposte, ma non è successo».
Con la Rai ci ha provato?
«Non voglio chiedere niente».
È vero che studiava Lettere antiche a Bologna?
«Sì, latino e greco, ed ero anche bravo. Poi ho cominciato a lavorare e non ho più studiato».
Mai pensato di ritirarsi ai giardinetti con il cane? 
«Per carità. Io voglio ancora spassarmela. Per questo ho preso un gatto».

Ultimo aggiornamento: 18 Dicembre, 12:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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