Gianluca Amadori
SANA E ROBUSTA COSTITUZIONE di
Gianluca Amadori

Costituzione cambiata, meno controlli e più sprechi

Sabato 28 Dicembre 2013
Si continua a far un gran parlare delle necessità di cambiare la Costituzione, di adueguarla ai tempi. Ma siamo così sicuri che si tratti di un'esigenza reale? E soprattutto che i cambiamenti prospettati costituiscano un miglioramento? Guardando alle modifiche apportate al Titolo V, ovvero gli articoli che vanno dal 114 al 133, verrebbe da dire di no. Il cambiamento è avvenuto nel 2001: perché? Ovviamente perché quegli articoli erano ritenuti superati e giudicati d’intralcio ad una moderna concezione di Regioni, Province, Comuni. Il Titolo V è stato dunque riscritto, in pratica, integralmente. Leggendo i “vecchi” articoli della Costituzione del 1948 e mettendoli accanto a quelli nuovi, viene qualche dubbio sul risultato ottenuto. Prendiamo il primo articolo, il 114. Si stabiliva, nel Patto fondativo della nostra democrazia, che: “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni.” Il nuovo art. 114 invece stabilisce che “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”.La differenza, come si vede, non è da poco: da un rapporto per così dire gerarchico si passa ad uno paritario. Un passo verso il federalismo, l'ha inteso qualcuono, ma in realtà un aumento della confusione. Vediamo adesso l’articolo 125. Nella carta “originaria” si legge: che “il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione è esercitato, in forma decentrata, da un organo dello Stato”. Nella riforma: “nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado”: come dire che da un “ti controllo” si passa ad un “mi controllo da solo”. A ribadire quanto stabilito nei nuovi articoli114 e 125, l’ art. 127. I Costituenti avevano stabilito, coerentemente, che le leggi approvate dal Consiglio regionale, dovevano passare attraverso una serie di filtri di garanzia e che vi era una “prevalenza” del Governo della Repubblica nei confronti del Consiglio regionale ed esplicitamente non solo poteva rinviargli le leggi quando le ritenesse non di competenza, o in contrasto con gli interessi nazionali o con quelli di altre Regioni, ma nel caso che il Consiglio regionale insistesse (a maggioranza assoluta), avrebbe potuto adire alla Corte costituzionale per la questione di legittimità e alle Camere per quella di merito. La riforma del 2001 del titolo V ha cancellato tutto questo, stabilendo che se il Governo ritiene che la legge regionale ecceda la competenza della Regione, può rivolgersi alla Corte delle Leggi e parimenti può fare la Regione se non gradisce una legge o un atto avente valore di legge dello Stato. E dunque siamo arrivati ad un perfetto piano di parità. In pratica ciascuno si fa gli affari suoi, in piena legittimità. Il risultato è una conflittualità permanente tra organi dello Stato e un aumento esponenziale, negli ultimi 10 anni, di leggi regionali dichiarate nulle dalla Corte costituzionale: erano appena 18 nel 2004, sono state 70 nel 2013. Il secondo risultato è una sempre più marcata carenza di controlli, come emerge dalle numerose inchieste della magistratura che hanno scoperto, ad esempio, come nelle Regioni si sia fatto a lungo un uso disinvolto dei rimborsi spese. Se si continua il paragone e l’esame tra il “vecchio” e il “nuovo” per tutti gli articoli del titolo V si arriva alla stessa conclusione. E viene spontanea una considerazione: la modifica della Carta costituzionale forse aveva come obiettivo proprio quello di ridurre i controlli con la scusa della modernità e del'efficienza. Pensare male è peccato, ma spesso ci si azzecca. Ultimo aggiornamento: 20:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA