MONDO OVALE di

Domina il Sud, ma i Pumas tengono alta la bandiera latina. Retromarcia Springboks

Venerdì 23 Ottobre 2015
Un primo verdetto della Coppa del Mondo c’è già: il dominio dell’emisfero australe sull’Europa.  Tanto che le semifinali sono state trasformate in una sorta di girone di ritorno del Four Nations. Tuttavia, nel gioco omologato di oggi,  sopravvivono alcune differenze di stile e di culture anche tra gli squadroni sudisti.  BANDIERA LATINA. I Pumas ad esempio, tengono alta la bandiera, del rugby latino. Lo fanno con un gioco evolutosi di parecchio sia in termini di ritmo e intensità che di movimento. L’ingresso nel "Championship" evidentemente sta dando frutti. Forse sono un po’ meno irresistibili di un tempo nelle fasi di conquista, ma nel gioco al piede restano superbi. E l’alternanza tra le forme di gioco ha prodotto contro l’Irlanda effetti estetici tra i migliori del Mondiale.  Sono tra l’altro la squadra, con l’Australia, che ripropone una linea di trequarti con due aperture, il vecchio caro metodo neozelandese detto dei "cinque ottavi". Curiosamente la semifinale di domenica li metterà di fronte proprio ai Wallabies in una sorta di derby tattico tra le aperture argentine Lopez-Hernandez e quelle australiane Foley-Giteau.   CANGURI DA BATTAGLIA. L’Australia ha rischiato grosso con la Scozia vincendo con un po’ di fortuna e grazie alla punizione del sorpasso all’ultimo respiro calciata da Foley sotto la pioggia e soprattutto sotto una pressione mostruosa. L’apertura rivelazione della Coppa, ha vissuto un pomeriggio poco felice. Può capitare. Ma proprio la capacità di mantenere i nervi saldi in situazioni molto complicate depone ulteriormente a favore del regista dei Waratahs. Lo stesso discorso vale per la squadra australiana. La qualità dei suoi solisti è rinomata. Dove difettava era semmai nella mischia ordinata e nelle ruck. Ed è a questi settori che Cheika ha messo mano trasformando  un gruppo spregiudicato e creativo in una squadra equilibrata, capace di esprimere un gioco di spettacolo e di combattimento allo stesso tempo. Con la Scozia ha pagato l’assenza per infortunio dell’ormai indispensabile David Pocock. Il capitano assieme a Hooper (a proposito, si diceva che i due non potessero coesistere), è la chiave dei tanti palloni recuperati in ruck e delle liberazioni veloci. Oltre che con due aperture Cheika  ha avuto l’ardire di schierare due flanker lato aperto anche se Pocock è formalmente il numero otto. Per questo raramente giocano l’offload: preferiscono passare sistematicamente al suolo, dove fanno sfracelli. Ed è proprio lì che, approfittando dell’assenza di Pocock, la Scozia ha "incartato"  il gioco australiano alla maniera... australiana: cioè mettendo a sua volta due recuperatori puri in terza linea, John Hardie e Cowan Blair.  SPRINGBOKS-ALL BLACKS. Gli All Blacks, che hanno strapazzato la bestia nera francese e cancellato l’incubo di molti mondiali, restano la squadra favorita e dal gioco offensivo più evoluto. Sabato avranno un esame più duro contro i rivali di una vita: gli Springboks. I sudafricani sono tornati a incarnare il rugby duro, semplice e diretto della tradizione: conquista, difesa, gioco al piede. Lo hanno fatto con una retromarcia precipitosa dopo l’umiliazione subita col Giappone. Perché avevano passato gli ultimi tre anni a d inseguire uno stile di gioco molto più espansivo, con l’ambizione di avvicinare quello All Blacks. Il risultato è che si trovano ora in mezzo al guado tattico: non assomigliano ai neozelandesi e nemmeno più a se stessi.  Di sicuro cercheranno si alzare l’intensità della sfida fisica in tutti i settori. Ma difficilmente potrà bastare contro una Nuova Zelanda capace di giocare al meglio qualunque tipo di rugby, dal movimento puro al combattimento totale. (Toni Liviero) Ultimo aggiornamento: 03:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA