CONTRO L'IMPERATORE «La repubblica di Venezia non è morta di morte

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CONTRO L'IMPERATORE«La repubblica di Venezia non è morta di morte naturale, è stata assassinata» afferma Marino Zorzi, patrizio di casa vecchia, fratello di Alvise, nonché...

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CONTRO L'IMPERATORE
«La repubblica di Venezia non è morta di morte naturale, è stata assassinata» afferma Marino Zorzi, patrizio di casa vecchia, fratello di Alvise, nonché per molti anni direttore della Biblioteca nazionale Marciana. L'assassino, ovviamente, era francese e vestiva la divisa da generale, agli ordini del Direttorio. Non c'è assoluzione, quindi, perché all'assassinio dello stato è seguito l'urbicidio: il saccheggio, il venir meno del ruolo di capitale, l'impoverimento e la conseguente vendita e demolizione di chiese e palazzi veneziani.

Tutto ha un'origine ben precisa, sintetizzabile in un nome: Napoleone. E quel che è accaduto tra il 12 maggio e il dicembre 1797, quando il generale Bonaparte ha messo fine ai più o meno mille anni dello stato veneziano indipendente, è nulla in confronto a quel che è successo negli anni del Regno d'Italia, quelli del viceré Eugenio, che ha fatto buttar giù una chiesa del Sansovino (San Geminiano) per costruire un salone delle feste.
PUGNO DI FERRO
«Nel 1797 le tassazioni, le esazioni, i furti, sono stati pesantissimi, i Monti di pietà sono stati svuotati in tutto il Dominio. Ma è niente rispetto al periodo 1806-1814, quando le tasse sono state moltiplicate per otto o nove volte, sono avvenute distruzioni in serie, e per di più il blocco continentale ha provocato la fine del commercio, mentre la soppressione delle scuole di mestiere ha decretato la fine dell'artigianato». La Marciana, si diceva. La biblioteca è una delle istituzioni che più hanno sofferto delle spoliazioni napoleoniche, soprattutto perché alcuni beni non sono mai tornati. I francesi nel 1797 impongono a Venezia di cedere al Louvre venti quadri e alla Bibliothèque nationale de France cinquecento libri. I quadri torneranno quasi tutti, salvo le Nozze di Cana, di Paolo Veronese, per le quali Venezia riceve in cambio Maddalena in casa di Simone il fariseo, di Charles Le Brun. Scambio impari, visto che al tempo il quadro di Veronese era valutato un milione di franchi, quello di Le Brun, soltanto 30 mila, ma letto, firmato e sottoscritto. Non da Antonio Canova, sia chiaro: lo scultore di Possagno nel 1815 era commissario alle restituzioni per conto del papa; Venezia, che faceva parte del Lombardo-Veneto, era sottoposta alla giurisdizione del commissario austriaco. Tornano anche i libri, seppure non tutti, ne mancano quindici, e un manoscritto di Tucidide del X secolo è sostituito, certo non per caso, con un codice cartaceo del XV secolo.
LE RAZZIE

Non è mai tornato, invece, quel che è stato portato via sottobanco, come per esempio il bassorilievo romano Suovetaurilia, che si trovava nell'antisala della Marciana. Rappresenta il sacrificio di un maiale, una pecora e un toro, e oggi è esposto al Louvre, e nel posto che ha lasciato c'è una fotografia. Oppure il volume dei disegni della corte del Moghul, eseguiti da Nicolò Manuzzi, dopo il suo viaggio in India, a metà Seicento. «Poco prima che i francesi se ne andassero», spiega Zorzi, «era arrivato un ufficiale da Jacopo Morelli, il direttore della Marciana, ingiungendogli, a nome del generale Bonaparte di consegnare alcuni manoscritti». Così oggi l'opera Storia del Mogol è divisa a metà: un volume, quello col testo, a Venezia, l'altro volume, con i disegni, a Parigi. Questa sorte, sia ben chiaro, non è toccata soltanto a Venezia, ma a tutte le zone conquistate da l'Armée d'Italie. Tanto per dire, dai dintorni di Roma è stata persino portata via una mandria di bufale perché si voleva iniziare la produzione di mozzarelle in Provenza, ma poi la cosa non è andata a buon fine. La differenza è che Venezia è stata privata dal generale Bonaparte del ruolo di capitale. I titoli di debito pubblico non sono più stati rimborsati, e mentre i patrizi molto ricchi sono riusciti a cavarsela, tanti hanno dovuto vedere tutto.
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino