Vaccinate le maestre prima di noi professori universitari. Tra chiudere l'aula di un Ateneo e una prima elementare, non c'è nemmeno da porsi la domanda

Vaccinate le maestre prima di noi professori universitari
In Lombardia è cominciata in questi giorni la campagna vaccinale nei confronti del personale universitario. Un accordo, quello tra la Regione e i rettori, che fa perno...

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In Lombardia è cominciata in questi giorni la campagna vaccinale nei confronti del personale universitario. Un accordo, quello tra la Regione e i rettori, che fa perno sulla logistica e sui numeri contenuti degli atenei per facilitare le operazioni di somministrazione. Dal punto di vista organizzativo, sembrerebbe una buona idea. Ma c'è veramente qualcosa che stona in tutto questo. E lo scrivo da persona che nell'università ci lavora da sempre.


Ora, come abbiamo più volte scritto, c'è una enorme differenza tra chiudere una scuola primaria e un'aula dell'università. Non è bello fare lezione on line, nemmeno all'università. È, forse, più noioso per gli studenti; è, sicuramente, più difficile per i docenti. Ma stiamo parlando di persone adulte, capaci di organizzarsi da sole, che anzi, a volte, beneficiano del fatto di poter seguire una lezione dalla propria abitazione senza dover svenare sé o le proprie famiglie con elevate spese per vitto e alloggio in una grande città del nord. 

 Le iscrizioni non sembrano essere diminuite a causa del Covid, le università stanno scoprendo benefici logistici enormi dalla possibilità di somministrare parzialmente in classe e online le proprie lezioni, oppure di registrarle e renderle disponibili almeno per qualche settimana a i propri studenti malati: sarà davvero un mondo eccitante quello che troveremo in ateneo alla riapertura. Un bambino a casa invece getta letteralmente nel panico le famiglie, costrette talvolta a dover rinunciare al lavoro per occuparsi dei figli. O a fare i salti mortali per garantire a tutti i figli la possibilità di seguire contemporaneamente le lezioni on line. E, a volte, anche a dover saltare delle lezioni per mancanza delle infrastrutture necessarie (computer, connessioni adeguate).

Come è possibile che, nell'efficientissima regione Lombardia, non vengano considerate queste problematiche? E come è possibile non considerare i rischi che corre il personale di queste scuole? Le maestre e i maestri delle scuole d'infanzia indossano caschi, maschere, occhiali, grembiuli sin da settembre perché i loro bambini, ovviamente, non possono indossare la mascherina. Perché non cominciare a dare un po' di sollievo a loro? Non è impossibile, visto che altre regioni lo hanno fatto o lo stano facendo. Le maestre e i maestri della scuola primaria fanno salti mortali per assicurare una continuità di lezioni alle proprie classi, nonostante le quarantene sempre più frequenti che interrompono il flusso dell'insegnamento. E così via. Finalmente, sembra che il prossimo 8 marzo anche in Lombardia partirà la campagna vaccinale per il restante personale scolastico. Ma restano grandi sospetti su quanto accaduto finora. La sensazione è che le istituzioni non abbiano in alcun modo compreso la distribuzione dei danni e dei pericoli nelle scuole e che quindi abbiano totalmente sbagliato a stabilire le proprie priorità. Oppure, dietro la facciata di voler riaprire gli atenei si nascondono altri obiettivi, probabilmente economici. L'economia è importante, lo ammetto. Ma non è tutto. E, in ogni caso, l'economia delle rendite lo è un po' meno di quella del lavoro. Il secondo sospetto riguarda il ruolo dei rettori delle università. Non discuto la volontà di tutelare il proprio personale, docente e non docente, fatto spesso anche in questi casi di persone fragili. E ringrazio i rettori per questa ammirevole intenzione. Resta il fatto che stiamo assistendo a una corsa immotivata per ricominciare le lezioni in aula il prima possibile. Una specie di gara tra i rettori a chi potrà per primo dichiarare la propria università perfettamente funzionante. Il tutto, però, in un contesto di continua mutazione delle condizioni sanitarie e di sicurezza. Tra chiudere un'aula universitaria e una prima elementare, non c'è nemmeno da porsi la domanda. E aggiungo, a rischio di essere deriso da qualche collega, che se tenere chiusa l'Università significa poter aprire qualche ristorante in più, per me è la cosa giusta da fare. Arriverà anche per noi il tempo di vaccinarci e di tornare in classe. Ma nessuno di noi in questi 12 mesi di pandemia ha perso un euro di reddito, a differenza di chi ha chiuso la propria attività.

I Rettori lombardi, nonostante le sicure buone intenzioni, non stanno dando un grande esempio al paese. La classe dirigente deve capire chi può fare un passo indietro e chi invece ha bisogno di tenere aperto per vivere. Se l'università non capisce che possiamo aspettare con calma il nostro turno, non siamo classe dirigente: siamo solo lobby d'interesse. Non posso naturalmente parlare a nome dei colleghi più anziani o in situazioni di fragilità. Ma, per quanto mi riguarda, non risponderò all'email della mia università che mi chiede se voglio essere vaccinato. E non perché non voglia esserlo; tutt'altro: non vedo l'ora! Ma perché non posso eticamente accettare un ribaltamento delle priorità così marchiano messo in atto dalle istituzioni della regione in cui vivo. E vorrei davvero tanto che quella dose di vaccino a me destinata un 45enne in perfetta salute e che non ha mai smesso di lavorare dalla propria abitazione - finisca a una maestra di scuola materna o uno dei tanti anziani che la sta aspettando da ormai troppe settimane. Chiedo troppo?

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Il Gazzettino