Papa Francesco si inginocchia davanti al dolore bipartisan delle madri russe e ucraine per la perdita dei propri figli soldati

Mercoledì 5 Aprile 2023 di Franca Giansoldati
Papa Francesco si inginocchia davanti al dolore bipartisan delle madri russe e ucraine per la perdita dei propri figli soldati

Il dolore di una madre ucraina che perde un figlio in guerra si può accostare al dolore di una madre russa che piange il figlio caduto in un conflitto che molto probabilmente non ha mai appoggiato? L'interrogativo – di per sé immenso, considerando che ha a che fare con il legame più sacro e profondo che esiste al mondo, quello che unisce una madre al figlio – è avanzato stamattina, durante l'udienza generale, quando Papa Francesco ha ricordato come lo strazio sia immensamente evidente sia per le madri ucraine che quelle russe, fronti opposti in cui il contesto produce solo dolore, strazio, disperazione.

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Ecco quello che ha detto il Papa: «In questa Santa Settimana della passione di Cristo, commemorando la sua morte ingiusta, ricordo in modo particolare tutte le vittime dei crimini di guerra e, mentre invito a pregare per loro, eleviamo una supplica a Dio affinché i cuori di tutti si convertano.

E guardando Maria, la Madonna, davanti alla Croce il mio pensiero va alle mamme: alle mamme dei soldati ucraini e russi che sono caduti nella guerra. Sono mamme di figli morti. Preghiamo per queste mamme». 

Secondo i numeri diffusi dalla Difesa ucraina sarebbero caduti finora oltre 140 mila soldati russi ma anche sulle cifre è in corso una guerra di disinformazione. L’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu in occasione del primo anniversario della guerra ha conteggiato 8.006 civili morti e 13.287 feriti. I bambini ucraini uccisi sono 487 e 954 quelli feriti. Si tratta probabilmente di dati sottostimati, perché l’Ucraina non fornisce cifre, principalmente per non deprimere il morale del Paese così come non esiste nessun conteggio ufficiale nemmeno per i caduti in combattimento. Non lo fornisce Kiev così come Mosca. L’Ucraina aggiorna periodicamente solo il numero presunto dei soldati nemici uccisi, ma il numero sicuramente è sovrastimato al fine di  dare il segno della propria forza militare; una serie di analisti indipendenti parlano circa centomila fra morti e feriti sul fronte russo (dove i comandi non si fanno scrupolo di mandare al massacro truppe mal equipaggiate e mal addestrate) e di un bilancio un po’ meno pesante sul fronte opposto.

Sempre durante la catechesi il Papa ha sviluppato poi il concetto dell'indifferenza verso Dio. «Perché tanto male nel mondo? Ma guardate, che c’è male nel mondo! Perché le disuguaglianze continuano a crescere e la sospirata pace non arriva? Perché siamo attaccati così alla guerra, al farsi del male l’uno all’altro? E nei cuori di ognuno, quante attese svanite, quante delusioni!» ha ripetuto Francesco rivolgendosi ai fedeli. 

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Per ironia della sorte, proprio mentre il Papa parlava contro la guerra, in quell'istante da Mosca il portavoce del Cremlino ribadiva che «per ora la Russia non vede le precondizioni per i colloqui con l'Ucraina».

Quella in atto, secondo il pontefice, in Ucraina, è una guerra cominciata a pezzetti fino ad assumere i contorni di un evento bellico mondiale. Il Papa ne è convinto e anche recentemente, durante una intervista, ha tratteggiato i contorni di una deriva che va avanti da più di un anno. «Le grandi potenze sono tutte invischiate. Il campo di battaglia è l’Ucraina. Lì lottano tutti. Questo fa pensare all’industria delle armi. Un tecnico mi diceva: se per un anno non si producessero le armi sarebbe risolto il problema della fame nel mondo. È un mercato. Si fa la guerra, si vendono le armi vecchie, si provano le nuove» ha detto qualche settimana fa alla tv svizzera. 

Sin dall'inizio del conflitto Francesco ha cercato di mantenere canali di dialogo con Mosca e ha cercato di parlare personalmente con Putin senza però mai riuscirvi. «Putin sa che sono a disposizione. Ma lì ci sono interessi imperiali, non solo dell’impero russo, ma degli imperi di altre parti. Proprio dell’impero è mettere al secondo posto le nazioni».

Il 7 novembre scorso l’arcivescovo maggiore Svjatoslav Ševčuk, capo della Chiesa greco-cattolica d’Ucraina, ha donato a papa Francesco un frammento della mina russa che ha distrutto la facciata della chiesa di Irpin. Per ricordare – in un mondo che vive di segni come quello vaticano – la barbarie del nemico e l’ostilità totale che gli è dovuta. Celebrando messa nella chiesa degli ucraini a Roma, Ševčuk ha poi esclamato che «Gesù Cristo viene ucciso, fucilato, torturato, giustiziato… nel corpo dei nostri soldati e civili nei territori occupati e durante la prigionia russa. Potrà il Signore perdonare tanti crimini e tanta violenza?». 

Il ministro degli Esteri vaticano, l'arcivescovo Paul Richard Gallagher, ad un anno dalla guerra in Ucraina, poche settimane fa aveva commentato lo stallo della diplomazia «alla luce delle notizie sempre più preoccupanti che arrivano dal fronte nella prospettiva degli scenari militari politici che si stanno continuamente tracciando», e degli sforzi diplomatici «che sembrano tutt'ora incapaci di rompere il circolo vizioso delle violenze».

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La posizione del Papa sulla guerra si è sviluppata in questi mesi su un doppio binario. Se da una parte ha inviato aiuti alla popolazione ucraina, alla quale oggettivamente non ha mai fatto mancare sostegni dal punto di vista umanitario, dall'altra parte ha cercato di mantenere aperti spiragli e contatti con il mondo ortodosso e con il Cremlino, attraverso la sua diplomazia nel tentativo di ritagliarsi un ruolo come facilitatore. Cosa che però non gli è riuscita e in diverse occasioni è stata al centro di critiche per la mancanza di chiarezza. Tanto che nel dicembre scorso l'autorevole Economist ha definito sostanzialmente fallimentare la linea diplomatica di Francesco. Si è trattato di una critica durissima su come il Vaticano ha impostato le azioni della Santa Sede, caratterizzate da un continuo “zigzagare” tra le due parti in conflitto, e appiattendo il Vaticano su uno schema forse più sensibile a Mosca che non a Kiev.

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Per l'Economist è affiorato un pregiudizio di fondo: «il primo Papa latinoamericano ha una profonda sfiducia negli Stati Uniti e ritiene che il posto del Vaticano sia a metà strada tra l'Occidente e i suoi nemici. La sua incapacità di vedere l'ovvio in Ucraina evidenzia i limiti di questo tentativo di equidistanza». Inoltre sembra «riluttante ad ascoltare i diplomatici ufficiali del Vaticano, formando invece le sue opinioni in conversazioni con una cerchia mutevole di interlocutori». Come dire che Papa Francesco ha di fatto esautorato il corpo diplomatico e i suoi principali consiglieri in Segreteria di Stato, dal cardinale Pietro Parolin a monsignor Paul Gallagher, privilegiando i consigli di amici e religiosi gesuiti che vanno ascritti al cerchio magico di Santa Marta.

A queste critiche non sono mancate nemmeno stoccate da parte di Mosca, specie dopo alcune parole spontanee pronunciate durante una intervista, in cui il Papa ha dipinto il popolo ceceno pieno di guerrieri cattivi e crudeli. Cosa che ha mandato in bestia Karidov e sono seguite persino le scuse della Santa Sede.

Naturalmente anche l'Economist ha riconosciuto l'alto numero di interventi pubblici fatti dal Papa per stigmatizzare «gli orrori della guerra» sulla «martoriata Ucraina». «Sulla sua scrivania si trova un'icona che ha ricevuto quando era arcivescovo di Buenos Aires come regalo di monsignor Svjatoslav Shevchuk, che nel 2011 dall'Argentina è tornato a Kiev per guidare la Chiesa greco-cattolica ucraina. È stato uno dei pochi beni che Francesco ha portato a Roma». 

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Non sono mancate poi le gaffe del Papa che hanno complicato tanti passaggi diplomatici. Tutta colpa dell'atteggiamento ondivago e ambiguo avuto all'inizio della guerra quando pur avendo parlato di «inaccettabile aggressione armata» e ha baciato una bandiera ucraina inviatagli dalla città martire di Bucha, è andato a far visita all'ambasciatore russo, ha inserito una donna russa accanto a una donna ucraina nella via Crucis al Colosseo, ha chiesto preghiere per la morte della figlia di Dugin, ha criticato l'”abbaiare” provocatorio della Nato, e non ha mai voluto citare esplicitamente il nome di Putin quale aggressore. Atteggiamenti che hanno profondamente irritato gli ucraini.

Di contro però ha definito chierichetto di Stato il Patriarca Kirill e stigmatizzato la crudeltà di Ceceni e Buriati mandando su tutte le furie il Cremlino. Solo dii recente è sembrato avere un atteggiamento più critico nei confronti del Cremlino, in particolare dopo l'incontro con l'arcivescovo Sviatoslav Shevchuk di novembre. Subito dopo ha scritto una lettera al popolo ucraino.


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Ultimo aggiornamento: 16:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA