Papa Francesco impotente a un anno dall'invasione della Ucraina: «Triste anniversario, Dio perdonerà tanti crimini?»

Mercoledì 22 Febbraio 2023 di Franca Giansoldati
Papa Francesco impotente a un anno dall'invasione della Ucraina, «triste anniversario, Dio perdonerà tanti crimini?»

Città del Vaticano -  «Dopodomani si compirà un anno dall'invasione dell'Ucraina. Un anno dall'inizio di questa guerra assurda e crudele. Un triste anniversario. Potrà il Signore perdonare tanti crimini e tanta violenza?». Papa Francesco durante l'udienza in aula Paolo VI, in Vaticano rinnova il suo pensiero alle vittime del conflitto, senza mai pronunciare (ancora una volta) il nome di Putin o di Mosca.

Poi rinnova l'appello «a quanti hanno autorità sulle nazioni perché si impegnino concretamente per la fine del conflitto, per raggiungere il cessate il fuoco e avviare i negoziati di pace. Quella costruita sulle macerie non sarà mai una vera vittoria».

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Il ministro degli Esteri vaticano, l'arcivescovo Paul Richard Gallagher, durante una messa concelebrata ieri pomeriggio nella basilica di Sant'Andrea della Valle, ad un anno dalla guerra in Ucraina, ha commentato lo stallo della diplomazia «alla luce delle notizie sempre più preoccupanti che arrivano dal fronte nella prospettiva degli scenari militari politici che si stanno continuamente tracciando», e degli sforzi diplomatici «che sembrano tutt'ora incapaci di rompere il circolo vizioso delle violenze».

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La posizione del Papa sulla guerra si è sviluppata in questi mesi su un doppio binario. Se da una parte ha inviato aiuti alla popolazione ucraina, alla quale oggettivamente non ha mai fatto mancare sostegni dal punto di vista umanitario, dall'altra parte ha cercato di mantenere aperti spiragli e contatti con il mondo ortodosso e con il Cremlino, attraverso la sua diplomazia nel tentativo di ritagliarsi un ruolo come facilitatore. Cosa che però non gli è riuscita e in diverse occasioni è stata al centro di critiche per la mancanza di chiarezza. Tanto che nel dicembre scorso l'autorevole Economist ha definito sostanzialmente fallimentare la linea diplomatica di Francesco. Si è trattato di una critica durissima su come il Vaticano ha impostato le azioni della Santa Sede, caratterizzate da un continuo “zigzagare” tra le due parti in conflitto, e appiattendo il Vaticano su uno schema forse più sensibile a Mosca che non a Kiev.

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Per l'Economist è affiorato un pregiudizio di fondo: «il primo Papa latinoamericano ha una profonda sfiducia negli Stati Uniti e ritiene che il posto del Vaticano sia a metà strada tra l'Occidente e i suoi nemici. La sua incapacità di vedere l'ovvio in Ucraina evidenzia i limiti di questo tentativo di equidistanza». Inoltre sembra «riluttante ad ascoltare i diplomatici ufficiali del Vaticano, formando invece le sue opinioni in conversazioni con una cerchia mutevole di interlocutori». Come dire che Papa Francesco ha di fatto esautorato il corpo diplomatico e i suoi principali consiglieri in Segreteria di Stato, dal cardinale Pietro Parolin a monsignor Paul Gallagher, privilegiando i consigli di amici e religiosi gesuiti che vanno ascritti al cerchio magico di Santa Marta.

A queste critiche non sono mancate nemmeno stoccate da parte di Mosca, specie dopo alcune parole spontanee pronunciate durante una intervista, in cui il Papa ha dipinto il popolo ceceno pieno di guerrieri cattivi e crudeli. Cosa che ha mandato in bestia Karidov e sono seguite persino le scuse della Santa Sede.

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Naturalmente anche l'Economist ha riconosciuto l'alto numero di interventi pubblici fatti dal Papa per stigmatizzare «gli orrori della guerra» sulla «martoriata Ucraina». «Sulla sua scrivania si trova un'icona che ha ricevuto quando era arcivescovo di Buenos Aires come regalo di monsignor Svjatoslav Shevchuk, che nel 2011 dall'Argentina è tornato a Kiev per guidare la Chiesa greco-cattolica ucraina. È stato uno dei pochi beni che Francesco ha portato a Roma». 

Non sono mancate poi le gaffe del Papa che hanno complicato tanti passaggi diplomatici. Tutta colpa dell'atteggiamento ondivago e ambiguo avuto all'inizio della guerra quando pur avendo parlato di «inaccettabile aggressione armata» e ha baciato una bandiera ucraina inviatagli dalla città martire di Bucha, è andato a far visita all'ambasciatore russo, ha inserito una donna russa accanto a una donna ucraina nella via Crucis al Colosseo, ha chiesto preghiere per la morte della figlia di Dugin, ha criticato l'”abbaiare” provocatorio della Nato, e non ha mai voluto citare esplicitamente il nome di Putin quale aggressore. Atteggiamenti che hanno profondamente irritato gli ucraini.

Di contro però ha definito chierichetto di Stato il Patriarca Kirill e stigmatizzato la crudeltà di Ceceni e Buriati mandando su tutte le furie il Cremlino. Solo dii recente è sembrato avere un atteggiamento più critico nei confronti del Cremlino, in particolare dopo l'incontro con l'arcivescovo Sviatoslav Shevchuk di novembre. Subito dopo ha scritto una lettera al popolo ucraino.

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