All'appello di Francesco («Prosegua la tregua a Gaza, siano rilasciati tutti gli ostaggi e sia consentito l’accesso agli aiuti») fanno seguito le riflessioni del cardinale Pietro Parolin che illustra il lavoro fatto dal Vaticano dietro le quinte per aiutare a trovare una soluzione alla crisi mediorientale.
Durante la tregua quel che resta di Gaza sono rovine spettrali
La Chiesa, spiega in una intervista al mensile di Cl, Tracce, «continua ad avere fiducia nella diplomazia. Che senso avrebbe altrimenti l’incontro con i responsabili politici, capi di Stato e di Governo e altre autorità con il Santo Padre o con la Segreteria di Stato? Che scopo hanno i viaggi nelle varie capitali, la partecipazione negli organismi internazionali?»
Al momento gli sforzi diplomatici della comunità internazionale resta concentrata alla «liberazione di tutti gli ostaggi e al cessate il fuoco che potrebbe aiutare a che la situazione non precipiti ulteriormente, scongiurando un allargamento del conflitto che lo renderebbe ancor più inaccettabile. Questa grande sofferenza certamente renderà molto difficile qualsiasi negoziato, qualsiasi soluzione. Ma se si potesse ripartire dal concetto della sacralità della vita, allora si potrebbe recuperare il senso dell’umanità e della fraternità necessaria».
Per la Chiesa fermo restando il rifiuto a ogni guerra («non vi sono dunque guerre giuste e guerre sbagliate») consente dal punto di vista morale, in determinate situazioni, «il diritto alla legittima difesa della parte aggredita in un conflitto». Parolin rammenta il Catechismo: «bisogna sempre tenere presente che il diritto alla legittima difesa deve essere teso anzitutto a salvaguardare la vita di chi ha subìto l’aggressione e deve sempre essere proporzionata all’offesa ricevuta».
La posizione della Santa Sede sul Medio Oriente da oltre 70 anni non è mutato: riguarda la soluzione “due popoli-due Stati”. Il segretario di Stato vaticano ripete che è la «soluzione politica più urgente da percorrere, non appena le condizioni lo permettano, perché risponde alla legittima aspirazione degli israeliani e dei palestinesi: avere una propria nazione e vivere fianco a fianco in pace, sicurezza e stabilità. Inoltre, uno statuto speciale internazionalmente garantito per la città santa di Gerusalemme permetterà che i fedeli delle tre religioni monoteistiche abbiano uguali diritti e uguali doveri, e sia rispettato l’accesso ai rispettivi Luoghi santi, secondo lo status quo, lì dove si applica».