Ucraina, Andrea Riccardi: «Non è vero che chiedere pace significa essere filo-Putin», a Roma il summit sulle religioni

Domenica 23 Ottobre 2022 di Franca Giansoldati
Ucraina, Andrea Riccardi: «Non è vero che chiedere pace significa essere filo-Putin», a Roma il summit sulle religioni

Città del Vaticano - «Una delle cose più sciocche del nostro tempo è che dire ‘pace’ voglia dire essere filo-putiniani».

Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio, mette subito le mani in avanti sulla necessità di trovare un spiraglio e non chiudere le finestre di dialogo con Mosca. Parla dalla Nuvola, il centro congressi dell'Eur mentre prende il via il summit sul dialogo tra le religioni, presenti anche i presidenti Mattarella e Macron e tre ministri del governo Meloni (Urso, Piantedosi e Tajani). «La politica ha bisogno di sguardo ampio. Non si può essere realisti se in una qualche misura non si è utopisti, cioè non si guarda con forza al di là del presente, oltre. Il messaggio e la politica bisogna andare oltre».

Essere pacifisti non vuol dire essere filo-putiniani?
«Questo assolutamente non è vero. Perché pace prima di tutto è una parola per gli ucraini, questo martoriato paese che ha subito l’aggressione russa che ha 8 milioni di persone fuori dei suoi confini. Noi rischiamo di rinunciare a questa grande parola, che è nostra, che è cristiana, che è delle religioni, che è europea».

Quale contributo apportano le organizzazioni religiose alla via della pace?
«Credo che le organizzazioni religiose, le religioni, le culture debbano farsi sentire perché la parola pace è nel cuore di tante persone, prima di tutto quelle che subiscono la guerra. Ma oggi è come un desiderio privato e qui diventa un grido e una invocazione. Chiaro c’è bisogno di una politica di pace, ma c’è bisogno di una energia e di una volontà anche di pace».
Secondo lei Putin può ascoltare il grido di pace che arriva da Roma, e ci sono già dei canali aperti?      
«Io non so chi ascolta Putin ma credo che aprire un orizzonte di pace significa mobilizzare la diplomazia. E’ l’ora della diplomazia su tanti campi»
Esistono iniziative concrete sulla pace in Ucraina?
«Sì ma da questo convegno desideriamo ci sia un’apertura di campo, un andare oltre la contingenza e le logiche immediate. Perché spesso le guerre ammazzano la fantasia, ammazzano la prospettiva e uno crede che la vita sia  solo colpo su colpo. Bisogna andare al di là».

Che significa apertura di campo in questo caso?

«Significa riproporre in Europa e nel mondo che la guerra non può durare perché il mondo globale non regge la guerra siamo tutti connessi, pensate alla crisi alimentare è tornata la fame, sono stato in Africa, siamo in una situazione drammatica perché siamo tutti legati»

Ma l'Ucraina si deve difendere, e per difendersi ha bisogno di armi... 
“Si sta difendendo ma difendere significa superare la situazione di conflitto”.

Perché il fronte dei pacifisti è spaccato?

«Io non sono una espressione del fronte dei pacifisti sono un pacificatore»

Il 5 novembre sarete in piazza? 

«Per rilanciare una cultura di pace, cercare parole di pace e fare sentire che l'italia è un paese di pace. C'è bisogno di una iniziativa europea perché siamo drammaticamente addormentati, cullati dall'incubo della guerra»

Quale potrebbe essere il primo passo?

«Penso aprire un orizzonte, il cessate il fuoco, risparmiare il sangue, favorire il ritorno dei profughi»

Il governo Meloni può fare qualcosa di concreto?

«Il governo Meloni è nato ora, e dovrà far qualcosa di concreto»

Perché a Roma avete invitato Macron?

«Per noi è un amico ed è un uomo sensibile alla dimensione della religione e ha una sensibilità. Da un punto di vista politico è leader che può coagulare una iniziativa europea per la pace».

Ultimamente però è un po' messo male sia all'interno del suo paese che anche all'estero...

«In politica un giorno uno è messo male e l'altro bene, a me pare in buona salute».

Quale è il problema maggiore oggi?

«Stiamo soffocando senza dialogo, anche il linguaggio della diplomazia è cambiato e oggi più che alla diplomazia ci si affida ai messaggi bellicosi; non ci siamo mai trovati in una situazione tanto drammatica dal dopoguerra». 

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