"Tutto in famiglia". 5/ La figlia
di Eugenio Raspi

Venerdì 10 Aprile 2020 di Eugenio Raspi
"Tutto in famiglia". 5/ La figlia di Eugenio Raspi

In esclusiva per "Il Messaggero" il primo racconto sulla pandemia dello scrittore Eugenio Raspi. 

Nicole ha sparpagliato i pastelli a cera sulle piastrelle del corridoio, alcuni sono rotolati a ridosso della porta del bagno. Il foglio di carta l’ha strappato dal quaderno grande a quadretti.
Pigia sulla carta la punta del colore giallo sopra il cerchietto con naso, bocca e occhi, e tratteggia i capelli lunghi e lisci della madre, in un vestito blu, l’enorme collana di perle avana, le braccia che spuntano dalla manica sono linee rosa ripassate tre volte che si ramificano nelle dita. Prende il pastello nero e ricama dei ghirigori sulla testa del padre a riprodurre i capelli ricci, è l’unica figura di profilo, seduto davanti a un quadrato grigio scuro, le mani su quella che dovrebbe essere la tastiera del portatile. Prende il marrone e colora la testa del fratello, nel volto ovale due palline azzurre, ai suoi piedi un pallone bianco a spicchi neri, la forma a pera, forse è sgonfio. I capelli della nonna sono una nuvoletta grigio chiaro, è rimpicciolita rispetto agli altri familiari, al centro del corpo, sovrapposto alla camicetta verde, un grande cuore vermiglio dai contorni sbafati. Riprende il giallo e disegna i capelli a treccine del suo autoritratto, recupera il celeste scivolato vicino alla suola della scarpa e con minuziosa pazienza punteggia delle minuscole palline che scendono in basso. Al centro del foglio, fa un tondo cercando la massima precisione, tiene stretto tra le dita il pastello rosso e lo marchia di tante macchie, simile a un viso con le bolle di morbillo.
In cima al foglio scrive il titolo. Va in cucina e addossa la sedia al frigo, attenta a non urtare i fornelli, ci sale sopra, dalla pentola ancora calda si alza un filo di vapore, le arriva alle narici l’odore buono di ragù. Prende due calamite libere e le posiziona a bloccare il disegno, negli spigoli in alto, sostituendo il precedente con loro quattro vicino all’albero di natale e i pacchi dei regali. Rimette a posto la sedia accostandola al tavolo, sopra c’è il vassoio con gli gnocchi. Si sporca la maglietta con un rigo di farina rimasta sul bordo. Torna in cameretta, Alessio sta scrivendo sul quaderno a righe, il gomito poggiato sul libro di scienze, ripone il disegno nel suo cassetto, sopra le magliette e le calze.
Il primo che entra in cucina e si blocca davanti al frigo è il padre. Rimane a bocca aperta, gli sale una specie di inquietudine.
«Rita, corri, vieni a vedere», la chiama a voce alta.
Lei arriva con in mano la rivista Ville&Casali, l’indice a tenere il segno della pagina, il sogno è di poter arredare un giorno quell’agriturismo che la realizzerebbe. Anche lei osserva il disegno senza un fiato. Ci sono rappresentati loro cinque, nonna compresa, ognuno disposto a un angolo del foglio tranne la bambina che è accanto alla palla con le macchie rosse, probabile che l’abbia osservata nelle tante trasmissioni televisive. In cima la scritta in stampatello, la mia famiglia è triste, io di piu, manca l’accento finale, errore perdonabile, le lettere M sono più grandi rispetto alle altre, le stanghette orizzontali delle T sono storte così come le bocche di padre, fratello e nonna, quella della madre ha un quadratino bianco, a nasconderla. Sotto al trattino del naso di Nicole una U rovesciata, dagli occhi le scendono due file di lacrime fino a terra.
Rita toglie le calamite e prende in mano il disegno. Si avvia verso la cameretta dei figli, Dario la segue. Bussa due volte, entrano insieme.
«Amore mi spieghi perché hai disegnato questo?», le mostra il foglio.
«Dovevo fare un compito sulla mia famiglia.»
«Perché ci hai messi così, tutti distanti?»
«Perché è così che siamo. Tu sei stata giorni con la mascherina, papà sta sempre al computer.»
Dario scambia un’occhiata con la moglie, difficile controbattere all’osservazione della figlia, Rita non le aveva certo detto che stava aspettando il risultato del test, risultato poi negativo.
«Scusa amore, è che nell’ultimo periodo succedono tante cose brutte.»
«Lo so. Però da quando papà lavora a casa bisogna stare sempre in silenzio. Non andiamo più ai giochi. Neppure la nonna viene a trovarci.»
«Hai ragione amore», interviene Dario, «però se papà sta a casa e la nonna non viene è per colpa del virus.»
«Ha ragione lei», dice Alessio, fin lì in silenzio. «Da quando è iniziata questa malattia non si vive più. Siete sempre a casa, ma è come se non ci foste, anzi, è peggio.»
«Ma noi siamo preoccupati per voi, non vogliamo che vi ammalate, per certe malattie non sempre c’è la cura», dice Rita. 
«Il professore di scienze ci sta facendo fare una ricerca sulle pandemie che si sono succedute nei secoli, partendo dalla peste nel medioevo. L’uomo ha sempre trovato un rimedio. Grazie a medici e scienziati», il figlio solleva il quaderno, a mostrarlo. «Ora sto preparando un compito su Pasteur e la penicillina.»
«E da quando sei diventato così preso dalle materie scolastiche?»
«Da quando le ho trovate interessanti, grazie al prof. Dopo che gli ho mandato la mia relazione sulla peste ha risposto che mi ci vede come un ricercatore, e credo che abbia ragione. Vorrei studiare i rimedi per tutte le malattie.»
Padre e madre si guardano come davanti a un miracolo. I loro sorrisi si trasformano in una mezza risata.
«Venite qui», dice Rita rivolta ai figli. Allarga le braccia e nel cerchio ipotetico che descrivono è compreso Dario. Si stringono insieme, con forza, in barba a provvedimenti e decreti legge sulla distanza di sicurezza raccomandata. L’abbraccio dura molti secondi. «Ora su, a lavarsi le mani.»
«Ma mamma», dice Nicole, seguita dalle lamentele di Dario e Alessio.
«Cosa avete capito? Voglio dire che ci prepariamo per il pranzo, voi due aiutate papà, mettete a bollire l’acqua e riscaldate il rosbeef. Io faccio un salto dalla nonna e la vado a prendere: ormai siamo in isolamento da tantissimi giorni, non siamo mai usciti, da oggi resta con noi, tutti insieme.»
Non aggiunge come una vera famiglia, però lo si intuisce lo stesso, almeno in casa propria, è un bene se non si è distanti ma si rimane uniti, uno accanto all’altro.

5. Fine

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