Auto a idrogeno, la tecnologia è pronta ma è ancora troppo costosa

L’idrogeno, un elemento molto presente sulla Terra, offre numerose possibilità per lasciarsi alle spalle l’era dei fossili e per avere energia senza generare la climalterante CO2 usando fonti rinnovabili

Mercoledì 21 Giugno 2023 di Giorgio Ursicino
Auto a idrogeno, la tecnologia è pronta ma è ancora troppo costosa

Si fa presto a dire idrogeno.

Dietro l’elemento più presente nel globo c’è un mondo intero. Complesso e pieno di opportunità.

Una cosa è certa: in futuro, quando i progressi della tecnologia avranno permesso di cavalcare almeno una parte delle sue enormi opportunità, l’H2 sarà di grande aiuto alla quotidianità della razza umana che ormai avrà superato i dieci miliardi di unità.
Per il momento, bisogna accontentarsi di come riusciamo a domarlo visto che in natura non si trova da solo e bisogna isolarlo dalle complessità di cui fa parte. Una per tutte l’acqua che è composta proprio di idrogeno insieme all’ossigeno e ricopre i due terzi della superficie del mappamondo. Avete capito bene, l’elemento più diffuso sul pianeta terra non viaggia isolato, non esistono miniere a cielo aperto o giacimenti di H2. Bisogna “estrarlo”, in qualche modo “produrlo”. E, se non si conserva nelle complesse condizione che richiede, evapora istantaneamente. Insomma, un tipetto un po’ dispettoso, che pretende di essere trattato con cura. Molta cura.


TANTE ATMOSFERE

Per adesso, quando lo convinciamo a isolarsi, vuole essere stivato a 700 atmosfere allo stato gassoso o, se preferite, alla temperatura innaturale di meno 253 gradi in quello liquido. Tutte e due le cose, s’intuisce facilmente, non sono alla portata di chiunque anche se già esistono da tempo le tecnologie per farlo. È tutto un problema di costi: creare le condizioni che pretende H2 potrebbe essere più costoso in termini energetici della forza che mette a disposizione quando è chiamato ad operare. Insomma, rischia di essere totalmente antieconomico. Anche perché ha delle rivali molto competitive per imprigionare energia “pulita”, quindi sostenibile e rinnovabile, che sono le batterie, in grande sviluppo sotto l’enorme spinta degli ingenti investimenti per la mobilità. C’è una sfida base. Sia per spingere un qualsiasi veicolo sia per produrre idrogeno che poi si occuperà di farlo, serve energia ecologica, quella proveniente da fonti come il sole, il vento o il movimento spontaneo dell’acqua. Se usassimo energia fossile, compresa quella derivata dagli idrocarburi, non solo scaricheremmo veleni nell’aria, ma libereremmo miliardi di tonnellate di CO2 che il passare del tempo ha impiegato milioni di anni per accumulare.

REAZIONE CHIMICA

Invece, dopo averne abusato per qualche secolo, conviene a tutti lasciarle dove si trovano. Quindi, avendo a disposizione energia “green”, nel campo della mobilità possiamo fare due cose. O utilizzarla direttamente per spingere le nostre vetture elettriche che, di per sé, sono “zero-emission”. O produrre idrogeno che poi, attraverso un reazione chimica, mette a disposizione energia per alimentare le auto. Facile intuire che il primo sistema è più diretto rispetto al secondo.
Quindi, sulla carta, al netto del costo degli accumulatori, a un prezzo indubbiamente più vantaggioso. A cosa serve allora usare una certa quantità di energia, che potrebbe direttamente fare il suo lavoro, per produrre idrogeno dal quale a sua volta dobbiamo procurarci l’energia elettrica per far viaggiare i veicoli? La risposta è semplice.
In questo caso l’idrogeno non è utilizzato come combustibile, ma come “vettore energetico”. Tanto più elevata la quantità di energia che riusciamo a concentrare nei serbatoi, tanta più autonomia avrà il veicolo a “fuel cell” o “celle a combustibile”.

MATERIE PRIME RARE

Quindi, la sfida fra batterie e idrogeno nel campo dei trasporti è sul fronte della percorrenza: più gli accumulatori saranno in grado di immagazzinare energia a costi contenuti e senza utilizzare materie prime rare, più diventa superfluo percorrere la via dell’idrogeno come vettore senza dubbio più complessa. Allo stato attuale l’industria automotive e quella dell’energia hanno investito già centinaia di miliardi in gigafactory, mentre l’idrogeno come vettore per la mobilità è ancora in una fase di sviluppo embrionale con investimenti che si possono misurare al massimo in milioni. Le prospettive di questa tecnologia, senza dubbio, hanno un orizzonte più lontano. E il mercato, che tiene in grande considerazione la variabile costi, sembra non crederci molto perché, quando l’idrogeno sarà più malleabile, gli accumulatori avranno raggiunto un “value for money” imbattibile. Dal punto di vista ambientale le due alternative si equivalgono in quanto, in base alle conoscenze attuali, entrambe sono a impatto zero per quanto riguarda la climalterante CO2.
Le batterie, almeno durante l’utilizzo del veicolo, ignorano la CO2. Mentre l’idrogeno la utilizza quando viene prodotto per poi liberarla, più o meno nelle stessa quantità, quando le fuel cell la miscelano con l’ossigeno presente nell’aria liberando energia. Ma l’idrogeno ha un altro asso nella manica: può essere utilizzato come vettore energetico per spingere un veicolo elettrico o direttamente come combustibile per alimentare un propulsore endotermico, proprio come fanno la benzina e il gasolio.

GLI OSSIDI DI AZOTO

Le emissioni climalteranti sono paragonabili, così come il bilanciamento di CO2 dovrebbe essere quasi zero. Diventa più difficile, però, fare un confronto dal punto di vista ambientale poiché la combustione genera sempre delle scorie, in questo caso gli ossidi di azoto. Hanno creduto nell’idrogeno per l’autotrazione soprattutto i costruttori Orientali, Toyota, Honda e Hyundai. Ma in tempi recenti la tecnologia è progredita, mentre la diffusione dei veicoli su strada no. Il più grande costruttore giapponese e il suo dirimpettaio coreano sembrano puntare in particolare sui veicoli pesanti, camion e autobus, che hanno meno problemi di spazio e più necessità in un’autonomia importante. La Toyota, che è stata sempre favorevole al principio di neutralità tecnologica e non si è mai affidata al monopolio (ci ripenserà?) delle batterie, in tempi recenti sta utilizzando l’idrogeno nel campo del motorsport dove è presente in forze in molte categorie. 
Le competizioni, però, presentano uno scenario completamente diverso da quello della produzione in serie e hanno degli aspetti del tutto peculiari. Qui emerge la seconda faccia della luna, l’altro volto del duttile, ma ostico idrogeno. Nelle gare serve potenza e quindi molta quantità di energia. E l’idrogeno in variante liquida pare averne una quantità quasi doppia di quello gassoso a parità di spazio. Ecco quindi bolidi con i serbatoi di idrogeno liquido che devono essere mantenuti, per non vedere evaporare il contenuto, a -253 gradi. In gara, per un tempo limitato e senza problemi di costi, pare che si può. La produzione di massa, invece, sembra aver già scartato questa soluzione. Ve lo immaginate, d’estate al caldo sotto il sole, quanta energia servirebbe per conservare il carburante a quelle folli temperature?
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Ultimo aggiornamento: 22 Giugno, 07:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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