Dipendenti licenziati dopo il video hard, la Roma in procura Figc: «Complotto contro la società». Cosa rischiano i giallorossi

Per il codice della giustizia sportiva società, calciatori e dirigenti rischiano squalifiche e sanzioni pecuniarie

Sabato 23 Marzo 2024 di Alessia Marani
Dipendenti licenziati dopo il video hard, la Roma in procura Figc: «È un complotto contro la società». Cosa rischiano i giallorossi

Un complotto. Nient'altro che una manovra ordita per creare un danno alla società. L'avvocato Lorenzo Vitali, il legale che ha preparato e firmato per la Roma la lettera di licenziamento alla dipendente e al suo fidanzato dopo che un loro video hard privato era stato diffuso (senza che lo sapessero) tra i giocatori e lo staff del centro sportivo di Trigoria, ieri è stato ascoltato dalla Procura della Figc, la Federazione giuoco calcio. Un colloquio con il procuratore capo Giuseppe Chiné che non è durato molto.

Accompagnato a sua volta da Antonio Conte, legale del club, Vitali, infatti, si è limitato a ribadire punto dopo punto, comunicato stampa alla mano, quanto già sostenuto pubblicamente dalla società nei giorni scorsi senza aggiungere molto altro. Anzi.

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INCREDULO

Mostrandosi particolarmente incredulo rispetto al fatto che «di fronte a una questione che attiene meramente al giudice del lavoro» si sia mossa la giustizia sportiva. Insomma: una sorta di ingerenza. Non solo. Al procuratore avrebbe mosso i suoi dubbi su un'altra circostanza: perché la coppia, se davvero ha subito un'ingiustizia così grande, non ha presentato anche una denuncia penale, aspettando lo scadere degli ultimi giorni utili per farlo? Come a dire: forse è solo un escamotage per ottenere un vantaggio. Accuse, veleni e illazioni reciproche animano il sexy-gate della squadra giallorossa.

Se la Roma si dice intenzionata ad andare fino in fondo davanti al giudice del lavoro (avrebbe rifiutato anche una proposta d'accordo dietro un risarcimento proposto dalla coppia subito dopo il provvedimento, a novembre), la dipendente e il suo compagno si dicono altrettanto decisi a non cedere il passo. Respingendo con forza il teorema del complotto, come già spiegato allo stesso Chiné nell'incontro in Figc di lunedì scorso, quando hanno ripercorso la loro vicenda facendo perno su due aspetti principali: il furto del video estratto di nascosto dal telefonino della ragazza e la «lampante» violazione della privacy patita, in particolare, dalla donna che si dice vittima di un comportamento discriminatorio nei suoi confronti.

Non un complotto, dunque, ma semplicemente una richiesta di aiuto tramite un primo approccio con i sindacalisti della Filcams Cgil, presenti come anche Cisl e Uil in maniera radicata tra i lavoratori del team capitolino rispetto a quello che viene ritenuto un licenziamento «ingiusto» e quindi «nullo». La coppia, al contrario, replica di essere l'unica vittima nella vicenda e di non avere ricevuto alcun beneficio dalla bomba mediatica, anzi solo una maggiore fonte di stress psicologico.

Ma davvero la giustizia sportiva poco o nulla può rispetto all'affaire che sta scuotendo Trigoria, dalla Primavera alla prima squadra? Secondo uno dei massimi esperti in diritto sportivo, l'avvocato Mattia Grassani, non esiste una normativa specifica ma viene genericamente richiamato l'articolo 4 del codice di giustizia sportiva che riguarda i principi della lealtà e della correttezza.

L'ESPERTO

«L'episodio - sostiene - a prima vista non sembrerebbe inerente all'attività sportiva e quindi non di competenza della Figc, tuttavia il pronunciamento della Procura del Coni su un calciatore condannato in primo grado per uno stupro ai danni di una non tesserata Figc ha aperto, a mio avviso in maniera probabilmente eccessiva, le maglie dell'ordinamento sportivo anche alla sfera privata dei consociati». Secondo questa decisione «è fatto obbligo a tutti i soggetti e agli organismi sottoposti all'osservanza delle norme federali di mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità e rettitudine morale in ogni rapporto anche non agonistico». Per Grassani ne consegue che «violando la privacy dei dipendenti licenziati, i tesserati unitamente alla società e ai dirigenti potrebbero essere deferiti e, quindi, puniti con squalifiche o con pene pecuniarie». Ma come sarà possibile dimostrare chi ha diffuso e rimbalzato le immagini? Un'impresa non così semplice.

Ultimo aggiornamento: 08:27
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