José Mourinho e Luciano Spalletti hanno davvero poco in comune. Sono diversi nel mondo di essere, nei gesti, nel timbro della voce, nei ragionamenti. Le loro squadre vivono in due mondi paralleli: il Napoli è poesia, bellezza, rapisce gli occhi; la Roma è prosa, sostanza, arriva dritta al cuore. Mou e Lucio erano nemici di campo, ora si coccolano a distanza, si stimano o almeno solo a favore di microfoni e telecamere. Roma e Napoli sono figli di due miracoli e loro ci hanno messo la firma. E qui, finalmente, le strade di José e Lucio si intersecano. La magia appartiene all'uno e all'altro, ed è stata la caratteristica delle loro carriere. La Roma di Mou è lì, avendo affrontato ogni tipo di tempesta: gli infortuni in serie, la perdita del suo uomo migliore, Dybala, di gente che avrebbe dovuto portare la differenza, Wijnaldum, e via via le mancanze di Zaniolo, di El Shaarawy, poi di Kumbulla, Celik e di Karsdrop, dei gol di Abraham, dei ritardi di Belotti.
Mou ha saputo correggersi in corsa, inventare un'altra Roma. Ha rinunciato allo spettacolo, inizialmente affidato ai quattro tenori, Pellegrini, Abraham, Zaniolo e Dybala, chiudendo la difesa e cambiando prospettiva. I numeri si sono invertiti, i risultati sono gli stessi: Roma quarta a quattro punti dal Napoli, con appena tredici gol segnati e nove subiti.
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Un miracolo, appunto. Come quello di Spalletti, che ha creato un gioiello dopo la rinunce dolorose, dettate da esigenze societarie. Il Napoli ha vissuto un'estate di lacrime e dopo i saluti di simboli come Koulibaly, Mertens e Insigne, dopo un mercato sofferto con gli arrivi del semisconosciuto come Kvaratskhelia, giovanotti ambiziosi come Simeone e Raspadori. Ha insegnato ad Anguissa l'arte del gol, sta recuperando nel fisico e nell'anima Ndombele dopo averlo fatto con Meret, ha consegnato le chiavi del gruppo a Lobotka, un Pizarro post litteram. E' tornato indietro di diciassette anni, quando in una notte fredda di Genova, allenando la Roma, ha perso per strada tutti gli attaccanti e in una sfida contro la Sampdoria ha inventato il 4-2-3-1 con Totti punta centrale e Perrotta trequartista. Quella squadra ha festeggiato da lì a poco l'addio di Cassano come una liberazione perché Lucio stava creando una squadra di bravi ragazzi e le ribellioni non erano più gradite a Trigoria.
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Quel gruppo ha trovato la forza di correre e divertirsi, superando i venti a sfavore. Quella Roma non era in grado di vincere lo scudetto ma è stata capace di tagliare il traguardo delle undici partite vinte consecutivamente e lottare fino in fondo per un posto in Champions (ottenuto poi, grazie alle sentenze di Calciopoli), brevettando un modello, che ancora oggi è per tutti. Un miracolo all'epoca, un miracolo oggi con il Napoli, che lo scudetto lo sogna davvero dopo lo sconforto estivo. La sua squadra è stata in grado di stupire in Europa e comandare qui in Italia. Nessuna è più bella è concreta. E i numeri parlano chiaro: il Napoli ha segnato più di tutti, 25 reti e ne ha subite come i giallorossi, nove. Ah, un'altra cosa Mourinho e Spalletti in comune ce l'hanno: la Roma. E non è poco.
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