Figaro arriva sfrecciando: la bacinella con i rasoi sotto un braccio, il casco in mano.
FACTOTUM IN MOTO CON IL MAESTRO
Un lavoro, che con un po’ di follia (è stato preparato in un mese) e una radicata professionalità, spirito da nouvelle vague e un amore per le tavole del palcoscenico, profondo rispetto per il repertorio lirico e attrazione fatale verso le contaminazioni, ha restituito vita al mondo dello spettacolo. Se è vero che durante la crisi si sperimenta, ieri, qualcosa di nuovo è successo: un’inaugurazione di un calendario, ma soprattutto di un’idea. Parcheggio di fortuna in piazza Beniamino Gigli, e poi Maestro e Factotum di corsa, sulle note della Cavatina, a dar vita a un evento solenne (come tutte le prime volte), e brioso (come si addice a un’opera buffa, anche se Gatti ha smorzato gli aspetti ridanciani, imprimendo talvolta uno sguardo amaro), segno dei tempi e della creatività che ha trasformato un teatro “ingabbiato” da fili e costrizioni in una fabbrica di idee e la paralisi da pandemia in vitalità.
IL FOYER SULLE CHAT
Sono loro due gli unici a sfilare, in piazza Beniamino Gigli privata del consueto pubblico delle prime: gli appassionati di lirica “distanziati” nelle case e nei salotti, hanno ricreato sui divani l’atmosfera dei palchi, trasferendo sulle chat e sui social i commenti da foyer, già dalla prima scena. Ed è proprio alla passione degli spettatori e al glamour dei tappeti rossi, cui è dedicato un omaggio alla fine del primo atto, con le immagini dell’Istituto Luce delle “prime” storiche, con la Callas e la Magnani e Sofia Coppola in abito da sera, che scorrono su “Dove cresce e mai non resta delle incudini sonore l’importuno strepitar”.
IL CAST
La sinfonia si apre occupando, con tutta la sua bellezza (circolano online paragoni con Abbado) la sala vuota. I cantanti in costume ottocentesco sbucano da ogni angolo, scale a chiocciola, palchi, quinte quasi a riprendersi ciò che è stato loro negato per mesi. Le telecamere li seguono ovunque e il montaggio, che non interferisce mai con il fluire della musica, restituisce in tv, mai come questa volta servizio pubblico, dettagli inediti: lo sguardo, i respiri, le intese, la passione, i visi ridisegnati dallo sforzo, di questo cast straordinario, Andrzej Filończyk (Figaro), Ruzil Gatin (il Conte d’Almaviva), Vasilisa Berzhanskaya (Rosina), Alessandro Corbelli (Don Bartolo), Alex Esposito (Don Basilio), Patrizia Biccirè (Berta) e Roberto Lorenzi (Fiorello).
E del direttore d’orchestra Gatti che ha tradotto le mille suggestioni, di linguaggi diversi, televisivi, filmici, musicali, con i cantanti alle spalle, dietro le quinte, nei cunicoli dei camerini, in un Rossini da prima assoluta. Impresa non da poco, visto che l’opera è stata registrata in presa diretta, seguendo una scaletta da film, cominciando dal finale, per poi affrontare le varie scene secondo esigenze cinematografiche.
LA PIAZZA DI SIVIGLIA
A disposizione di Martone (che in questa regia ha messo tutto il catalogo delle sue conoscenze), platea, palcoscenico e palchi e sala vuota, che diventano balcone di Rosina, piazza di Siviglia, Casa di Bartolo, per poi rivelarsi una prigione, uno spazio legato, costretto da fili, “imbavagliato” dalla platea al lampadario monumentale.
I FILI E LE CESOIE
La gabbia che ha paralizzato lo spettacolo dal vivo e che in una toccante scena finale, proprio mentre Rosina dà voce alla sua libertà, viene aperta dagli artisti, i macchinisti, le sarte, i parrucchieri, i truccatori, i musicisti, i cantanti. Ognuno di loro ha in mano una cesoia e nel finale dell’opera diventano cinquanta lame che tagliano le catene. La creatività, la fantasia, l’energia che si nascondono nei teatri al buio: «L’amore», cantano, «la fede eterna si vegga in noi sempre regnar».