Eredità Covid: vaccini, più igiene e nuove armi contro i tumori

Per l'Oms l'emergenza è finita anche se "il virus continua ad essere tra noi"

Giovedì 11 Maggio 2023 di Mauro Evangelisti
Eredità Covid: vaccini, più igiene e nuove armi contro i tumori

Quando il 29 gennaio 2020 in un hotel di Roma furono trovati i primi due turisti cinesi contagiati da Sars-CoV-2 capimmo che il misterioso virus che stava paralizzando una megalopoli allora per noi sconosciuta, Wuhan, era sbarcato anche nel nostro Paese.

Non si sarebbe fermato, nel mondo globalizzato puoi rallentare l’epidemia, ma non la puoi fermare, soprattutto quando la velocità e la facilità di trasmissione aveva le caratteristiche di quel coronavirus. «Il giorno in cui fu chiaro che il contagio poteva avvenire subito, anche con i primi sintomi e addirittura anche tramite gli asintomatici, compresi che la situazione sarebbe divenuta molto seria, le zone rosse non sarebbero state sufficienti», ha ricordato il professor Gianni Rezza, direttore uscente Prevenzione al Ministero della Salute, una delle tre o quattro persone che nelle prime ore, quando avevamo di fronte un mostro sconosciuto, fu chiamato a prendere decisioni. Il 30 gennaio 2020 l’Organizzazione mondiale della Sanità decise l’emergenza sanitaria globale. Il 5 maggio 2023 il direttore generale dell’Oms, Tedros Ghebreyesus, ne ha annunciato la fine. «Ma il virus è ancora tra di noi, continueremo a vigilare e saremo pronti a intervenire, a dichiarare nuovamente l’emergenza se ve ne saranno le condizioni».

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PROTEZIONI

Nella percezione degli italiani e di gran parte del mondo - solo in estremo Oriente e nel Sud est asiatico c’è maggiore prudenza - la pandemia era finita da mesi. Ma cosa ci lasceranno questi tre anni che sembrano essere stati scritti dallo sceneggiatore di un disaster movie (d’altra parte il film Contagion era di appena nove anni prima)? Ci sono piccole e allo stesso tempo grandi cose. L’abitudine a lavarsi le mani, ad esempio: secondo una indagine dell’Osservatorio Opinion Leader 4 Future, presentata nei giorni scorsi al Policlinico Gemelli di Roma, per due italiani su tre lavarsi le mani è importante, la maggioranza lo fa molto più spesso rispetto al passato.

Abbiamo preso confidenza con i liquidi igienizzanti per le mani: anche se i distributori stanno diminuendo, quando li vediamo molti di noi continuano a usarli, con un utile rituale. Se abbiamo qualche linea di febbre o la tosse evitiamo di andare a trovare un familiare anziano. Sull’uso delle mascherine la popolazione è divisa: c’è chi continua a utilizzarle, nei luoghi affollati, magari per difendere un parente fragile a cui non vuole trasmettere il virus.

Negli ospedali, su disposizione del ministro della Salute, Orazio Schillaci, sono ancora presenti, soprattutto nei reparti dove ci sono pazienti maggiormente a rischio. In Asia tutt’oggi le mascherine sono molto più frequenti. Spiega il professor Walter Ricciardi, docente d’Igiene alla Cattolica di Roma: «Non ci deve sorprendere: in quella parte del mondo avevano avuto l’esperienza dell’impatto della Sars, che si diffuse di meno ma era molto più letale, e per questo si erano abituati a essere molto più scrupolosi nell’indossare le mascherine».

LA RICERCA

La pandemia ci lascia in eredità i vaccini Mrna che ci hanno aiutato a limitare i danni (l’Oms ipotizza 20 milioni di morti, ma sarebbero stati molti di più senza lo scudo), e soprattutto offre prospettive per sviluppi futuri di quella tecnologia, ad esempio contro i tumori. «Servirà tempo e comunque non saranno preventivi, ma terapeutici» ricorda Ricciardi. Secondo una ricerca della Fondazione Bruno Kessler gran parte della protezione contro l’infezione (sia chiaro non contro i sintomi gravi) quasi si azzera dopo sei mesi, per questo dovremo abituarci, quanto meno per gli over 60 e i fragili, a nuove campagne vaccinali ogni anno, così come già avviene con l’influenza. Il Covid ci ha anche mostrato quanto sia necessario farsi trovare pronti, con piani pandemici aggiornati e scorte copiose di materiale. Dice a MoltoSalute il ministro della Salute, Orazio Schillaci: «Dobbiamo farci trovare pronti nell’eventualità di future emergenze sanitarie. Entro la fine dell’anno aggiorneremo il Piano pandemico influenzale estendendo le indicazioni ad altri patogeni respiratori e siamo impegnati nella messa a terra degli interventi finanziati con il PNRR che dovranno essere opportunamente sostenuti anche dopo il 2026». L’Oms ha messo anche in guardia sulla necessità di una maggiore collaborazione tra gli Stati, «molte persone non sarebbero dovute morire», ma in questa fase di scontro tra blocchi - Usa, Uk ed Europa da una parte, Cina e Russia dall’altra - le incognite sul futuro anche nella prevenzione di una pandemia sono palpabili. E poi ci restano alcune domande senza risposta. Perché c’è una parte della popolazione che, anche nei Paesi in cui il virus si è diffuso capillarmente, non sono mai state contagiate? Il professor Stefano Merler, ricercatore della Fondazione Bruno Kessler, sta completando uno studio: «Possiamo ipotizzare che la percentuale di coloro che non hanno mai avuto l’infezione dal virus sia attorno al 15-20 per cento». Ma gli scienziati ancora non sanno perché neppure con la variante Omicron, super contagiosa, c’è chi non ha mai avuto un tampone positivo».

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Ultimo aggiornamento: 07:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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