Le riaperture dei prossimi giorni rappresentano «un rischio che avrà un prezzo da pagare e l'entità di questo prezzo dipenderà da come noi vorremo utilizzarle». Fabrizio Pregliasco, ricercatore di Igiene generale e applicata dell'Università degli Studi di Milano, non ci gira intorno: «È necessario ora più che mai poter contare sul senso di responsabilità di ciascuno, se non vogliamo ritrovarci di nuovo con un balzo dei contagi e dei morti».
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Si riapre ma gli effetti sull'epidemia sono imprevedibili?
«I dati oggi sono confortanti e derivano dal fatto che sono 5 settimane che si vede un continuo abbassamento del numero dei casi. Purtroppo, però, rispetto ai dati delle terapie intensive e dei morti non osserviamo una situazione che fa stare tranquilli. Le riaperture era necessario farle, tenuto conto delle aspettative e della sofferenza delle persone, in particolare delle categorie che hanno risentito maggiormente per le chiusure. Ricordiamo che è la prima volta al mondo che si prova un lockdown come metodo di mitigazione dell'effetto devastante di una pandemia, però ora bisogna tentare la strada della gradualità».
Il rischio della ripresa dei contagi c'è, insomma.
«Sì, e avrà un prezzo da pagare.
Cosa vuol dire?
«Sostanzialmente non bisogna fare come è avvenuto in Sardegna. Abbiamo visto che in tre settimane hanno perso la possibilità di stare in zona bianca. E questo aumento dei contagi è sicuramente legato a un comportamento di libera tutti. Non nascondo che fa paura soprattutto la prima applicazione delle regole per le aperture. Nei primi giorni gli esercenti magari tendono a mettersi in pari con gli affari persi e le persone cercano di riappropriarsi di momenti di libertà. Purtroppo è la fase più delicata e andrebbe gestita con molta attenzione».
In che modo?
«A livello individuale bisogna prestare la massima cautela per evitare situazioni che possano creare contagio. Ricordiamo che col passare del tempo ci si abitua anche al rischio e l'attenzione tende a scendere. Ma serve collaborazione anche da parte di chi gestisce le varie attività, dai ristoranti alle palestre. È necessario un senso di responsabilità di tutti perché le misure di precauzione vengano rispettate sempre».
Non bastano le regole?
«Sì, ma devono essere poche, chiare e lineari, perché se sono molto arzigogolate si trova la scusa per non attuarle. E poi servono controlli a monte e a random sull'applicazione di tutte le regole».
Pensa che ci sia confusione sul da farsi?
«Ci sono tanti distinguo e tante differenze. Va a finire che ognuno ritiene di poterle interpretare come ritiene. Bisogna fare un accordo applicativo tra il Cts insieme alle rappresentanze delle varie strutture in modo che ci sia un confronto sull'operatività. È fondamentale che le misure siano calate nella realtà».
Sarà una bella prova per tutti, insomma.
«Le riaperture sono il frutto di una scelta politica. In teoria un lockdown puro aveva sicuramente un'efficacia maggiore, ma dopo un anno bisogna provare ad aprire».