Lazio, riscuotevano le tasse ma poi versavano i soldi sui conti correnti personali. Truffati 13 comuni

Indagato il capo del Consorzio enti pubblici, la società incaricata di riscuotere le imposte

Sabato 19 Febbraio 2022 di Michela Allegri
L’ente che ruba le tasse, truffati 13 Comuni laziali

Avrebbe dovuto gestire le entrate tributarie dei Comuni della provincia di Roma e, invece, cifre a sei zeri provenienti dal pagamento di tasse, bollette, rette scolastiche, sarebbero uscite dalle casse del Consorzio enti pubblici per finire nel conto in banca di uno dei manager dell’Ente e di tre imprenditori. Tanto che, da una situazione di attivo, il bilancio del Cep sarebbe passato a un passivo preoccupante.

Sul caso indaga il pm Stefano Luciani e le accuse ipotizzate sono peculato e autoriciclaggio.

Sotto inchiesta, c’è Paride Pizzi, direttore generale e procuratore speciale della società Cep spa, partecipata a capitale interamente pubblico. Il manager è indagato insieme ai titolari delle società utilizzate, in un gioco di scatole cinesi, come veicolo per fare uscire il denaro, tramite una serie di pagamenti per incarichi mai effettuati. L’anello di congiunzione tra il dg e gli imprenditori, per l’accusa, sarebbe Alessandro Di Giulio. Lo scorso novembre la Finanza ha perquisito la sede della Cep. La situazione è preoccupante, visto che il buco nero nei bilanci rischia di travolgere i tredici Comuni che hanno istituito il Consorzio per incamerare in modo organizzato le tasse: Bellegra, Casape, Cave, Colonna, Gallicano nel Lazio, Genazzano, Palestrina, Percile, Poli, Rocca di Cave, Rocca Priora, Roiate e, infine, Zagarolo.

I BILANCI

I bilanci del Cep, infatti, sono passati in pochi anni a un passivo milionario. Nel 2016 erano in attivo di 1,5 milioni. A svuotare le casse, secondo l’accusa, sarebbero state spese per consulenze e servizi esternalizzati tra il 2019 e il 2020. Commesse che, per gli inquirenti, sarebbero inesistenti: un giro di fatture false avrebbe giustificato l’uscita di almeno 1.773.073 euro. E la cifra contestata dalla Procura potrebbe presto crescere. Secondo l’accusa, Pizzi e gli altri indagati si sarebbero appropriati del denaro con un escamotage. I soldi sarebbero stati dirottati sui conti di una serie di società per pagare prestazioni inesistenti, poi sarebbero stati trasferiti sul conto di aziende delle quali Pizzi e Di Giulio erano soci. Da qui, l’accusa di autoriciclaggio che riguarda 1.631.920 euro. Nel decreto di perquisizione si legge che gli investigatori dovranno anche verificare la presenza di altri reati, come «la creazione delle false fatture utilizzate per drenare illecitamente risorse economiche dalla società partecipata a capitale interamente pubblico e successivamente trasferirle in modo da occultarne la provenienza».

LE SOCIETÀ

I fatti contestati vanno dal 31 gennaio 2019 al 7 ottobre 2020. Ecco le operazioni che hanno insospettito i finanzieri: il Cep, nel biennio 2019-2020, ha eseguito pagamenti per quasi 1,8 milioni in favore delle società S.S.I. Srls, Service Plus Srls ed Evora Servizi Srls. Nello stesso periodo - si legge nel decreto di perquisizione - le società hanno a loro volta effettuato pagamenti, a mezzo di bonifici bancari, per forniture di beni e prestazioni di servizi» a favore di altre cinque aziende - B&B Innovation Technology Srls, Fotoclick Srls, Real Service Srls, Golden Lab Srls, Web Solution Srls - per 980mila euro. Circa 600mila euro sarebbero quindi transitati sul conto della Servizi Globali 2.0 Srl, «della quale sono soci Paride Pizzi e Alessandro Di Giulio», si legge ancora nell’atto: Di Giulio ha il 10% delle quote, mentre il 90% è della Bargain Italia, della quale lo stesso Di Giulio è socio al 50% con Pizzi. Altri 27mila euro, sempre nel 2020, sarebbero stati bonificati alla Rooster Farm Srl, di cui Di Giulio è socio e amministratore.

LA CORTE DEI CONTI

Non è tutto. La Corte dei conti ha già condannato il Cep a pagare 1.105.531 euro al Comune di Cave. «Il concessionario non ha riversato le somme riscosse secondo la tempistica del contratto, nonostante diversi solleciti», si legge nella sentenza dello scorso 19 gennaio, che potrebbe essere la prima di una lunga lista. Per i difensori degli indagati, però, l’inchiesta è un errore. «Sono certo della totale estraneità dei miei assistiti in ordine ai fatti oggetto di contestazione, produrremmo diversi documenti atti a scardinare l’impianto accusatorio», ha dichiarato l’avvocato Tiziano Gizzi, che assiste due imprenditori.
 

Ultimo aggiornamento: 07:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA