Roma come Milano: noi cinesi pronti a votare alle primarie

Martedì 9 Febbraio 2016 di Lorenzo De Cicco ed Elena Panarella
Roma come Milano: noi cinesi pronti a votare alle primarie

«Molti di noi vogliono partecipare, ma ci diano almeno dei volantini in cinese!», dice Dong Mei, commessa di 36 anni, mentre passeggia sotto i portici dell'Esquilino, cuore multietnico della Capitale, il quartiere dove la comunità cinese è più radicata, tanto che qualcuno ha tentato di ribattezzare questo insieme di strade, a due passi dalla stazione Termini, come la “Chinatown” capitolina. «Ma è un nome improprio – spiega chi ci abita – perché qui vivono stranieri di tutte le nazionalità: africani, bengalesi, indiani, sudamericani».

Ma una cosa è certa: piazza Vittorio, la piazza più grande di Roma, non è solo l'epicentro del quartiere ma è anche il fulcro di una comunità, quella cinese, che nella Capitale conta oltre 20mila residenti, di cui 4mila già in possesso la cittadinanza italiana, per nascita o per acquisizione. Cittadini che, quindi, possono regolarmente mettersi in coda ai seggi. E votare. Molti già si preparano ai gazebo del prossimo 6 marzo, per le primarie che eleggeranno il candidato sindaco del Pd. Che intanto, per evitare altre polemiche come a Milano, ragiona sulla possibilità di una pre-registrazione entro 24 ore prima dell'apertura dei gazebo.
 
Per molti cinesi “romani” c'è un gap linguistico, più che culturale, che rappresenta un ostacolo quasi insormontabile. «Tanti di noi, soprattutto i più anziani, non parlano una parola di italiano», dice ancora Dong Mei, che invece già si considera parte della “Second generation”, vale a dire quei ragazzi che in Italia ci sono nati o che ci sono arrivati da figli, frequentando le nostre scuole. «Per questo - ribadisce - dovrebbero fare campagna elettorale anche con del materiale nella nostra lingua».

GAP LINGUISTICO
Qualche problema con l'italiano lo ha anche il presidente dell'associazione Giovani Cinesi in Italia, che sulle primarie del Pd dice solo: «Io partecipare». Spiega meglio il responsabile legale dell'associazione, Dixi Yang, praticante avvocato, arrivato a Roma dal Fujian, regione a Sud della Repubblica popolare, davanti all'isola di Taiwan. «Queste occasioni ci aiutano a sentirci più integrati». Già in passato, racconta, la comunità cinese ha dato prova di un voto “organizzato”. «Alle elezioni per i consiglieri aggiunti al Comune di Roma, abbiamo votato in oltre 1.500».

Come a dire: sulla bilancia delle preferenze, possiamo contare. «Ma nel caso delle primarie il nostro non sarà un voto organizzato», dice la delegata della Comunità Cinese a Roma, Lucia Hui King. Insomma, chi voterà, lo farà a titolo personale. «Noi votiamo per chi fa i nostri interessi - chiarisce - Di sicuro vogliamo essere coinvolti, non vogliamo più ignorare la politica». Il voto cinese a Roma, racconta la delegata, «è storicamente di sinistra, anche perché quelle sono le nostre origini.

Ma ormai vogliamo trovare qualcuno che possa rappresentarci, a prescindere che sia del Pd, di Forza Italia, di Sel o di Fratelli d'Italia». Più che il partito, conta quello che i candidati propongono. «E al primo posto per noi c'è la sicurezza». Un tema caldo, vissuto molto anche da negozianti e residenti dell'Esquilino, che hanno perfino assoldato dei vigilantes privati per controllare il territorio. «Siamo preoccupati da furti e rapine», dice Li Zhein, 36 anni, titolare di un negozio in una traversa di via Napoleone III, in Italia da 20 anni. «Per questo siamo disposti a tirare fuori i soldi pur di vivere in tranquillità».

NON SOLO RISTORANTI
Altra questione molto sentita è «lo sviluppo del commercio», ricorda Dixi Yang. «Pensate che ormai un cinese su tre è un imprenditore». Non solo ristoranti (il primo a Roma è stato aperto nel 1949). I tempi sono cambiati. «Le nuove generazioni - sottolinea Andrea Canapa, responsabile romano della Fondazione Italia-Cina - investono in altri settori, tutti nei servizi: dal turismo all'economia, agli affari legali».

Non è un caso allora se proprio i vecchi negozi di abbigliamento dell'Esquilino, appendice di quella filiera tessile che ha portato molti orientali nella Capitale, oggi siano stati rimpiazzati da decine di agenzie di viaggio, store per guide turistiche e uffici di interpreti.

E anche la grande finanza cinese si sta accorgendo di Roma, tanto che tre mesi fa la ICBC, secondo colosso al mondo del settore bancario, ha aperto la sua sede nella Città Eterna, a due passi da piazza di Spagna. Il segnale più evidente del riscatto di una comunità partita dai margini. E che oggi, come racconta ancora Yang, ha sostituito i vecchi “padroni”. «Siamo noi ormai, nei nostri negozi, a dare lavoro agli italiani».

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