RIETI - I lockdown, le faticose riaperture tra la paura dei contagi e l’insofferenza delle persone nei confronti del green pass, il mondo della ristorazione sempre più frammentato nell’offerta e, infine, per concludere al peggio, i rincari di materie prime e bollette dell’energia.
L'addio. Massimiliano de Marco, il ristorante gestito dal suocero “Rino” – al secolo Quirino Farese, il quale a sua volta lo prese in carico dalla gestione paterna di Ennio - lo rilevò nel 2006, quando la piccola stazione di benzina di piazza Marconi gestita da Massimiliano a partire dal 1997 venne dismessa. La clientela e l’entusiasmo, fino a poco tempo dopo la crisi del 2008, non mancavano: «E fino a prima del Covid, lavorando, si riusciva ancora a sostenere le spese – racconta Massimiliano a Il Messaggero – Durante la pandemia, però, a causa dei locali chiusi e degli scarsi ristori ricevuti, sono stato costretto ad attingere ai fondi personali per poter coprire le spese di affitto e le utenze. Poi abbiamo riaperto, ma con una clientela che non era più la stessa di prima: aperitivi e nuovi generi di cucina, come i ristoranti orientali, hanno fatto scemare l’interesse nei confronti delle trattorie, senza contare la paura dei contagi e l’insofferenza dei clienti nei confronti delle nostre richieste di esibire il green pass. Una zona poco curata come Porta Cintia non ci ha certo aiutato e il fatto che in città l’offerta di ristorazione continui ad aumentare, ma con una clientela che a Rieti resta sempre la stessa, fa sì che la torta da spartirsi fra le varie attività sia sempre più piccola. E se nel 2021 eravamo riusciti ad intravedere un minimo di speranza, la rovina di quest’anno sono state le sagre, la cui ripresa è stata sostenuta molto più attivamente rispetto ai ristoranti».
Ma da dove arriva questo boom della somministrazione e della ristorazione?
«Le persone si illudono che la ristorazione porti incassi giornalieri – risponde Massimiliano - ma quando si è dentro e si inizia a lavorare, ci si accorge che tutto questo grande lusso non c’è». Per non parlare poi di aumenti di cibo e bollette: «Negli ultimi mesi, 25 chili di farina, da 18 euro sono arrivati a costarne 25; un pecorino romano è passato da 6 euro e 50 centesimi a 20 euro, l’agnello da 8 a 20 euro, la pasta costa il doppio. Le bollette sono quasi raddoppiate: da 750-800 euro sono passato a 1.300-1.400, soltanto per l’energia. Oggi una pizza margherita bisognerebbe farla pagare dieci euro per poter rientrare un minimo delle spese e non so’ come facciano alcuni ristoranti a proporre menù fissi da 20 euro. Così, con le bollette che raddoppiano e le materie prime che costano di più, i risparmi sono finiti e ora sono arrivato al punto di non riuscire più a pensare di farcela per il futuro – conclude amaramente Massimiliano - Man mano che vado avanti, sono sempre più sotto. Ed essere costretto a chiudere è un dolore che non riesco ad esprimere».
Altra attività. Al posto dello storico “Rino”, nelle prossime settimane potrebbe forse approdare una pasticceria. Ma intanto Rieti continua sempre più a perdere pezzi di storia, e non certo per la conclusione di cicli naturali.